Tel Aviv, 10 dicembre 2024 – All’indomani del crollo del regime di Bashar Assad migliaia di famiglie di siriani tengono adesso gli occhi puntati sul carcere militare di Saydnaya, il tristemente noto ‘Mattatoio umano’ situato 30 chilometri a nord di Damasco. Dopo che i ribelli vi hanno liberato (come nel carcere di Homs) migliaia di detenuti è risultato che in teoria altri ancora potrebbero essere ancora prigionieri in due livelli del sottosuolo. Secondo testimoni sul posto sarebbero privi di corrente elettrica, rischiando dunque la asfissia. Non possono essere raggiunti – se effettivamente sono rimasti in trappola – perché gli ingressi alle loro celle sono dissimulati in un labirinto. Inoltre occorre disporre dei codici segreti di apertura delle porte blindate. Ma i guardiani fedeli ad Assad sono da tempo irreperibili.

Le squadre siriane di difesa civile, gli ‘Elmetti Bianchi’ sono impegnate per individuare gli accessi alle celle e utilizzano anche cani e strumenti tecnologici. Ma hanno bisogno urgente di indicazioni precise ed hanno offerto un premio di 3.000 dollari a chi sia in grado di fornire informazioni utili a salvare vite umane. “Al momento non abbiamo localizzato cellule sotterrane’”, ha precisato un loro portavoce. Attorno alle strutture di Saydnaya si è raccolta una folla di persone in ansia nella speranza di rintracciare congiunti prelevati anche decine di anni fa dai servizi segreti. Ma gli ‘Elmetti Bianchi’ hanno avvertito che occorre mantenere una distanza di sicurezza a causa della presenza di campi minati. Inoltre il timore di queste squadre è che un ingresso massiccio della folla possa distruggere informazioni e documenti che in un secondo tempo potrebbero servire per documentare le atrocità avvenute tra quelle mura.
Secondo informazioni raccolte da Amnesty international, negli anni compresi fra il 2011 ed il 2018 “oltre 30mila detenuti sono stati uccisi, o sono morti in seguito a torture, o per inedia o per mancanza di cure”. Tra il 2018 e il 2011 altri 500 sono stati passati per le armi o impiccati. Nel 2002 – prosegue Amnesty – un rapporto del Dipartimento di Stato Usa ha sollevato anche la possibilità che a Saydnaya operasse un crematorio, nell’intento della autorità di liberarsi dei resti delle loro vittime. Tutte queste accuse sono state sempre respinte, nel corso degli anni, dalle autorità siriane.
Ma le testimonianze dei prigionieri scampati agli orrori di quello che nei media è ormai definito il ‘Mattatoio umano’ confermano la straordinaria crudeltà dei carcerieri. Un ex detenuto anziano, catturato all’epoca di Hafez Assad, non era in grado di precisare che anno sia adesso. Un altro non ricordava più il proprio nome né il proprio indirizzo. Un altro ancora – sollecitato dai ribelli a telefonare ai propri familiari per aggiornarli della sua liberazione – tremava a tal punto da non potere tenere in mano l’apparecchio cellulare.
Costruito negli anni Ottanta, Saydnaya è composto di due edifici: ‘il Palazzo Bianco’, dove erano detenuti elementi del regime e delle forze armate ritenuti non più affidabili, e il ‘Palazzo Rosso’, a forma di Y, per gli oppositori dichiarati del regime. Alla base del primo venivano compiute le impiccagioni. Complessivamente potevano accogliere 10-20 mila detenuti. Le squadre di soccorso hanno raggiunto la base del “Palazzo Rosso’. Secondo un esperto del Middle East Institute, Charles Lister, potrebbero esserci là due o tre livelli sotterranei. Per il momento non sono stati però localizzati. Fra quanti seguono gli sforzi di quei soccorritori c’era ieri anche una donna di 65 anni, Aida Taher. “È dal 2012 che cerco invano mio fratello e che non ho più sue notizie” ha detto ad una agenzia di stampa. “Forse adesso potrò finalmente riabbracciarlo”.