Un futuro con troppe incertezze, troppe incognite: i medici di famiglia e gli infermieri scarseggiano. Come verranno sostenuti i programmi di cure primarie? Alla luce degli ultimi sviluppi si nutrono forti preoccupazioni per quanto concerne la tenuta del sistema sanitario nazionale. Questo è quanto emerso dall’audizione del presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, alle commissioni riunite Bilancio sulla manovra. Chelli ha sottolineato che i medici di medicina generale sono caratterizzati da una struttura per età spostata verso le età prossime al pensionamento, un trend decrescente nel numero degli occupati e un incremento significativo del numero di assistiti per ciascun medico. “Nel 2022, ultimo anno per cui i dati sono disponibili, la dotazione complessiva di medici (generici e specialisti) è pari in Italia a 4,2 per mille abitanti, 0,2 punti in più rispetto al 2019; l’offerta è maggiore al Centro (4,8) e minore nel Nord-ovest e al Sud (4,0)”, ha spiegato Chelli.
I medici specialisti costituiscono l’81% circa dei medici totali; nel 2022 sono 3,3 ogni mille residenti, 0,3 punti in più rispetto al 2019. I medici di medicina generale sono 6,7 per 10.000 abitanti e rappresentano il 15,7% dei medici totali. Si stima che circa il 77% abbia 55 anni e più, inoltre il loro numero è diminuito di oltre 6000 unità in dieci anni, da 45.437 nel 2012 a 39.366 nel 2022, e il numero di assistiti pro-capite è aumentato da 1.156 nel 2012 a 1.301 nel 2022. Questi dati evidenziano una situazione critica per i medici di famiglia, che si trovano a fronteggiare un carico di lavoro sempre maggiore con risorse umane in diminuzione. La necessità di interventi strutturali per garantire la sostenibilità del sistema è ormai improrogabile.
L’analisi del segretario nazionale Fimmg
Silvestro Scotti, segretario nazionale Fimmg (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) ha espresso forti preoccupazioni riguardo ai dati presentati dal presidente dell’Istat durante l’audizione alle commissioni riunite Bilancio di Senato e Camera sulla Manovra. “I dati e le preoccupazioni espresse dal presidente dell’Istat rimarcano tutto ciò che da anni lamentiamo nei confronti degli interlocutori politici, seriamente preoccupati per la sopravvivenza di una categoria, quella dei medici di medicina generale, che sostiene sulle proprie spalle il peso delle cure primarie e dell’assistenza di prossimità,” ha dichiarato Scotti. “Non si comprende come possa coesistere la consapevolezza istituzionale di questa criticità – certificata a questo punto dall’istituto nazionale di statistica – con una legge di bilancio che dimentica di fatto la nostra categoria.”
Scotti ha confermato che i medici di medicina generale sono tra le categorie che destano maggiori preoccupazioni per il futuro, insieme agli infermieri. “In assenza di interventi concreti, ogni commento sulla volontà di valorizzare la medicina generale resta solo speculazione,” ha aggiunto. “Già dal nostro congresso nazionale è emerso con forza un grave disagio e una profonda sofferenza espressa dall’intera categoria”. Tra le proposte avanzate dalla Fimmg, Scotti ha ricordato la richiesta di una detassazione delle quote variabili collegate agli obiettivi delle Regioni contenute nel Patto della salute e nel PNRR, e un investimento sul corso di formazione in Medicina Generale. “Condizioni che ne riducono l’attrattività e bloccano un ricambio generazionale ormai non più rimandabile,” ha spiegato Scotti. I dati dell’Istat mostrano una situazione critica: i medici di medicina generale sono 6,7 per 10.000 abitanti, rappresentando il 15,7% dei medici totali, con il 77% sopra i 55 anni. Il numero dei medici di medicina generale è diminuito di oltre 6.000 unità in dieci anni, da 45.437 nel 2012 a 39.366 nel 2022, e il numero di assistiti pro-capite è aumentato da 1.156 nel 2012 a 1.301 nel 2022. “Una platea che non è paragonabile con quelle di altri paesi europei, molto differenti per cronicità ed esigenze assistenziali,” ha concluso Scotti. “Siamo davanti a un bivio che conduce verso direzioni diametralmente opposte e ora c’è da decidere da che parte vogliamo traghettare il Servizio sanitario bene primario nel nostro paese”.
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