Il tumore della prostata, con oltre 40.000 nuove diagnosi ogni anno in Italia, è il più comune tra gli uomini adulti, e la sua natura purtroppo spesso asintomatica nelle fasi iniziali rende la tempestività nell’intervento una questione cruciale. Mentre la comunità scientifica si prodiga nella ricerca di strategie di contrasto efficaci, i recenti sviluppi legati alla terapia con darolutamide hanno suscitato un rinnovato ottimismo.

In certi casi il carcinoma prostatico, anche senza manifestare segni evidenti all’inizio, può progredire rapidamente, ed è la forma metastatica ormonosensibile (mHSPC) a dare le maggiori preoccupazioni, poiché gravata da una prognosi sfavorevole.

Recentemente, i risultati dello studio di fase III Aranote, presentati durante il meeting dell’American Society of Clinical Oncology, “Genitourinary Cancers Symposium”, a San Francisco, hanno confermato l’efficacia di darolutamide, un inibitore orale del recettore degli androgeni, in aggiunta alla terapia ormonale. Questa combinazione, che lega il recettore degli androgeni con elevata affinità, e mostra una forte attività antagonista, si legge in un comunicato Intermedia, ha mostrato significativi miglioramenti nella sopravvivenza libera da progressione radiologica (rPFS) nei pazienti con mHSPC, rispetto al trattamento con placebo e terapia di deprivazione androgenica (ADT).

Lo studio ha rivelato che il trattamento ha ridotto il rischio di progressione radiologica o di esito infausto del 46%, con risultati sia per i pazienti con malattia ad alto volume, dove il rischio è stato ridotto del 40%, sia per quelli a basso volume (70%). Questi dati offrono una indicazione del potenziale di questa opzione nella lotta contro il tumore alla prostata.

Orazio Caffo, Direttore Oncologia all’Ospedale Santa Chiara di Trento, ha sottolineato l’importanza di un approccio terapeutico personalizzato per ogni paziente. “I benefici di darolutamide, in associazione a terapia ormonale e a chemioterapia, erano già stati evidenziati nello studio di Fase III Arasens. Gli ulteriori risultati mostrano il valore della molecola, associata alla sola terapia di deprivazione androgenica, indipendentemente dal volume di malattia”, ha dichiarato Caffo. Questo approccio mira a valorizzare l’efficacia del trattamento mentre si minimizzano gli effetti collaterali, un aspetto cruciale per i pazienti in fase metastatica.

Fred Saad, Direttore della Genitourinary Oncology all’University of Montreal Hospital Center, ha messo in evidenza le potenzialità di darolutamide. Sviluppata congiuntamente dalla multinazionale Bayer e dalla finlandese Orion Corporation, la molecola è progettata per inibire la funzione del recettore degli androgeni, bloccando così la crescita delle cellule tumorali prostatiche e riducendo al minimo gli effetti indesiderati. “Il fatto che questa terapia riduca il rischio di interazione con altri farmaci la rende particolarmente interessante”, ha affermato Saad.

Il passaggio successivo ora consisterà nell’approvazione regolatoria della combinazione di darolutamide con la terapia di deprivazione androgenica. Gli esperti auspicano che questa configurazione possa diventare presto disponibile nella pratica clinica, offrendo ulteriori margini di sopravvivenza, e una migliore qualità della vita, a un range di pazienti ben selezionato.