Giovedì 21 Novembre 2024
REDAZIONE TECH

Stelle ‘divoratrici’ di pianeti: in media 1 su 12 se ne ‘alimenta’. La scoperta

Lo studio del gruppo di ricerca guidato dall’australiana Monash University. I risultati sono stati possibili grazie alla grande quantità di dati raccolta dai due telescopi Magellano, dal Very Large Telescope e dall’americano Keck

Stelle 'divoratrici' di pianeti: lo studio (iStock Photo)

Stelle 'divoratrici' di pianeti: lo studio (iStock Photo)

Roma, 20 marzo 2024 – In media una stella su dodici è una ‘divoratrice’ di pianeti: a svelare queste 'abitudini alimentari così aggressive’ sono le loro gemelle, ovvero le stelle che sono nate dalla stessa nube molecolare e che quindi dovrebbero essere identiche. Invece nell’8% delle 91 coppie studiate, la composizione di una delle due gemelle differisce dall’altra a causa del fatto che si è nutrita di pianeti o di materiali provenienti da dischi di formazione planetaria. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature, si deve al gruppo di ricerca guidato dall’australiana Monash University e getta nuova luce sullo studio dell’evoluzione dei sistemi planetari. 

I risultati sono stati possibili grazie alla grande quantità di dati raccolta dai due telescopi Magellano gestiti da una serie di istituzioni scientifiche americane, dal Very Large Telescope dello European Southern Observatory e dal telescopio americano Keck alle Hawaii. “Grazie a questa analisi ad altissima precisione, abbiamo potuto vedere le differenze chimiche tra stelle gemelle”, spiega Fan Liu, che ha guidato la ricerca: “Ciò fornisce una prova molto evidente che una delle stelle ha inghiottito pianeti o materiale planetario e questo ne ha cambiato la composizione”.

Le stelle prese in analisi dall’indagine sono nel pieno della loro vita e non nelle fasi finali come le giganti rosse, che possono inghiottire i loro pianeti più vicini a causa della loro espansione. “Gli astronomi credevano che questo tipo di eventi non fosse possibile, ma dalle osservazioni del nostro studio possiamo vedere che, sebbene la frequenza non sia elevata, in realtà è possibile”, commenta Yuan-Sen Ting dell'Università Nazionale Australiana, co-autore dello studio: “Questo – aggiunge – apre una nuova finestra da valutare per chi si occupa dell'evoluzione dei pianeti”.