Roma, 22 ottobre 2024 – Il meglio, o giù di lì, dell’intelligenza umana contro la potenza e la minacciosa crescita di quella artificiale. Si annuncia lo scontro degli scontri, perché la questione sollevata da 6.500 autori – fra loro due premi Oscar, un Nobel per la letteratura, musicisti famosi in tutto il mondo – riguarda il diritto d’autore, in tutti i suoi risvolti. L’accusa è la stessa indicata nella causa pilota aperta un anno fa dal New York Times contro Open AI e Microsoft: i sistemi di intelligenza artificiale si “allenano“ in rete su opere protette dal copyright (gli articoli, le fotografie, i grafici, i disegni del giornale) senza autorizzazione.
Tra le firme in calce all’appello dei 6.500 compaiono quelle di celebrità globali del cinema come Julianne Moore e Murray Abraham, premi Oscar rispettivamente nel 2014 (per Still Alice) e nel 1985 (Amadeus), e poi Kevin Bacon e Rosario Dawson; della letteratura, come il premio Nobel 2017 Kazuo Ishiguro e le scrittrici Paula Hawkins (autrice del bestseller La ragazza del treno) e Philippa Gregory (suo L’altra donna del re); della musica come Thom Yorke e Ed O’Brien dei Radiohead, il leader dei Cure Robert Smith, il compositore Max Richter. Grandi firme, dunque, per un appello che potremmo definire esistenziale, perché gli autori indicano una posta in gioco altissima: “L’uso non autorizzato di opere creative per la formazione dell’IA generativa – scrivono – è una grande quanto ingiusta minaccia per i mezzi di sussistenza delle persone che sono dietro quelle opere e non deve essere consentito”.
È il tema di sempre del copyright, l’uso piratesco di opere dell’ingegno, ma in versione del tutto nuova, perché il training delle macchine intelligenti è propedeutico alla produzione di opere nuove, che siano scritti, immagini, musiche, disegni, insomma tutto ciò che siamo abituati ad attribuire a persone in carne ossa. In futuro, a volte anche già oggi, potrà non essere così; potrà (può) accadere che un articolo, un romanzo, un filmato, una fotografia, una canzone, una colonna sonora siano generate dalle macchine, che avranno appreso i “segreti“ del mestiere da veri artisti e veri autori. I 6500 parlano esplicitamente di “sfruttamento del lavoro creativo” e chiedono di essere ascoltati sia dalle aziende sia dai governi, perché si prospettano scenari allarmanti.
Nell’appello, sottoscritto non a caso da autori angolofoni (i più “minacciati“, per ovvie ragioni), si citano sia le molte cause in corso negli Stati Uniti (quella intentata dal New York Times è la più nota e importante), sia le intenzioni manifestate dal governo britannico di cambiare la legge sul copyright al fine di “consentire alle società di intelligenza artificiale di formarsi sul lavoro protetto dal diritto d’autore senza dover richiedere un’autorizzazione”. Gli autori, insomma, si sentono stretti in una morsa: non è detto che i giudici statunitensi diano loro ragione e c’è il pericolo che il potere politico, non solo in Gran Bretagna, finisca per assecondare i desiderata di Big Tech.
Sotto il profilo giuridico la questione è piuttosto delicata. Nella causa New York Times versus Open AI-Microsoft, il giornale difende il copyright, ma le aziende ribattono di non “rubare“ nulla, perché l’output, cioè il “prodotto“ generato dall’intelligenza artificiale, è un’opera nuova e non coperta dal copyright. L’ipotesi di liberalizzare il cosiddetto “scraping“, cioè il prelievo di dati dal web, è insomma plausibile, specie in un contesto in cui la deregulation è stata – e resta – l’habitat naturale di Big Tech, che ha dalla sua argomenti molto potenti (denaro, fascino, spregiudicatezza) per convincere poteri politici al momento incerti e confusi.
Non ci sono comunque soluzioni facili. L’anno scorso a Hollywood l’uso dell’intelligenza artificiale fu al centro dello sciopero di un grande sindacato di attori, chiuso con un complicato accordo con gli Studios, ma tutti i creativi sono a rischio di sfruttamento e anche di sostituzione, perché la corsa dell’intelligenza artificiale generativa è appena cominciata. Recentemente, il sindacato interno ha denunciato la condotta di un grande quotidiano, che ha prospettato la riduzione del suo staff artistico, da compensare con nuovi strumenti di intelligenza artificiale. Quel quotidiano, naturalmente, è il New York Times.