Quando una mattina d’autunno del 2017 incrociai Gianluca Vialli all’aeroporto di Linate quasi non lo riconobbi. Dimagrito, avvolto in una coperta, seduto su una carrozzina. "Gianluca... cosa è successo?". Mi guardò e con una smorfia mascherata da un sorriso rispose: "Nulla, piccoli acciacchi". Finì lì, avevo imparato che con lui non bisognava insistere. Conoscevo Gianluca da molti anni, seguivo gli eventi della Fondazione che aveva creato con Massimo Mauro per raccogliere fondi destinati alla ricerca sulla Sla. Ci si vedeva sui campi di golf fra Torino e Milano, solita domanda per capire se prima o poi sarebbe tornato in biancomero come allenatore visto che i tifosi lo reclamavano. "Non parliamo di Juve". Poi, a microfoni spenti, sussurrava: "Ma tu sei convinto che la Juventus mi voglia davvero?". Risate.
Addio a Gianuca Vialli, il calcio italiano piange un altro simbolo
Nel 2009 lo richiamai. Stavo scrivendo un libro-inchiesta dal titolo ’L’ultima partita’ . Morti improvvise e misteriose nel mondo del calcio, inchieste giudiziarie, sospetti. Avevo raccolto testimonianze sconcertanti: dagli ex calciatori ’pentiti’, alle vedove e agli orfani di giocatori morti precocemente negli anni ’70, ’80 e ’90. E soprattutto avevo intervistato Guariniello, il pm che lanciò (con Zeman) pesanti accuse di doping alla Juventus di cui Vialli era stato un simbolo. "Gianluca, non ti chiedo di replicare a chi ha voluto portarvi a processo nel 1998, però vorrei che fossi tu a scrivere l’introduzione del libro". Lui non esitò: "Va bene, la faccio. Non per difendermi dalle accuse ma per ricordare che la mia Fondazione è in prima linea per combattere le malattie". Due pagine ricche di significati. Con parole forti: "Troppo spesso giornalisti e magistrati, travestiti da ricercatori scientifici, hanno provato a spiegare le cause di certe morti indagando prima e accusando poi il rapporto tra calcio e medicina, creando un inutile clima di caccia alle streghe...".
E qui torniamo a quella mattina del 2017, con la comprensibile bugia di Gianluca per nascondere la terribile diagnosi. Provai a risentirlo nel marzo del 2018: "Sono in Marocco per un torneo di golf...". Forse non era vero, ma in quelle settimane ebbi conferma di quel che temevo: "Ha un tumore al pancreas". Il professor Zerbi lo aveva già operato all’Humanitas di Milano. Le cure continuavano a Londra. Nessuna corsa allo scoop. Tutti sapevamo, ma facevamo finta di non sapere. Gli mandai un sms, rispose subito: "Grazie per le belle parole. Sto meglio, andrà tutto bene". Vitale come sempre, perché "l’importante non è vincere, ma pensare in modo vincente. La vita è fatta per il 10% da quel che ci succede e per il 90% da come lo affrontiamo".
In realtà quello che lui chiamava ’l’ospite indesiderato’ lo stava già costringendo ad un primo ciclo di chemio durata nove mesi. "Ma prima o poi (l’ospite indesiderato) se ne andrà e mi lascerà tranquillo", diceva a bassa voce. Intanto affrontava la malattia con dignità e serenità: "Penso positivo, non costa niente e fa bene alla salute – raccontava a Natale del 2018 –. Naturalmente non è facile ma mi sto impegnando molto. È l’unica cosa su cui posso avere controllo, il resto è nelle mani del Signore". Nell’estate del 2020 qualcosa cambia: si sentiva addosso quell’angoscia fino ad allora sconosciuta, quella sensazione di vuoto allo stomaco che ti assale quando ti svegli di soprassalto da un incubo. "Ho avuto paura, anzi, ho paura. Leggo tanto, mi aggrappo alla fede, è davvero quello l’unico momento in cui il riassunto di una vita trova il suo senso. Come quando si sta per morire e davanti agli occhi scorre l’esistenza....". "Forza Gianluca – gli dissi – sei un leone...". "Ma certo, io voglio vivere. Per mia moglie, le mie figlie, i miei cari". Lontano dai riflettori Vialli continuava a lottare.
La vittoria agli Europei nel 2021 gli restituì sorrisi e lacrime di gioia, ma fu allora che “l’ospite indesiderato“ riapparve beffardo. Ancor più minaccioso. Altro lungo ciclo di chemioterapia, una faticosa ripresa, l’angoscia che prevale sulla speranza. E il silenzio. La scorsa primavera gli scrissi: "Come va bomber?". E lui: "Bene, a maggio vado in Puglia e poi a Matera". Sapeva che sarebbe stata l’ultima lunghissima vacanza da godersi con gli affetti più intimi dopo cinque anni durissimi. Ma ad ogni messaggio mi rispondeva col pollice alzato. "Va tutto bene". Così anche il 9 luglio, giorno del suo 58° compleanno. È stata l’ultima volta in cui ci siamo sentiti. Quando non rispose agli auguri di Natale capii che il maledetto ospite indesiderato avevo vinto.