di Mattia Todisco
A lanciare per primo l’allarme a microfoni aperti è stato l’amministratore delegato dell’Inter, Giuseppe Marotta, che subito dopo la gara col Parma ha sottolineato come nei grandi club serpeggi un certo malumore per la presenza di un periodo dedicato alle nazionali confermato nonostante la pandemia in corso. In materia abbiamo chiesto un parere all’avvocato Mattia Grassani, legale del Napoli ed esperto di diritto sportivo.
Avvocato, sono legittimi i dubbi dei club?
"Più che legittimi. In un periodo nel quale le autorità governative sono tornate a disporre restrizioni alla circolazione, esporre i calciatori a viaggi anche intercontinentali, contatti con compagni provenienti da tutte le zone del mondo, controlli da parte di staff medici di cui sono ignote professionalità e competenze sul tema, non può che destare perplessità. Impedire, ad esempio, che un calciatore di Milano si sposti in un’altra Regione ma, al contempo, possa compiere un viaggio intercontinentale, mi sembra una contraddizione in termini".
Quali altre eccezioni potrebbero sollevare i club?
"Ad esempio che l’obbligo di rispondere alla convocazione della rappresentativa nazionale deriva da una fonte regolamentare della Fifa e non dal contratto di lavoro. I trasferimenti per raggiungere le rispettive squadre nazionali potrebbero astrattamente non essere considerati riconducibili a motivi di lavoro e dunque, per chi si trova in determinate aree del nostro territorio, forse sono incompatibili con i provvedimenti dell’ultimo Dpcm".
Cosa rischiano a livello legale i club qualora dovessero decidere di non inviare i giocatori in Nazionale?
"Innanzitutto, il giocatore che non risponda, senza essere infortunato, alla convocazione per la nazionale, non può essere utilizzato per tutto il periodo in cui sarebbe stato impegnato con la propria rappresentativa, incrementato di cinque giorni. Inoltre, calciatore e club sarebbero deferiti alla Commissione Disciplinare della Fifa e da questa giudicati, con irrogazione di provvedimenti che, non esistendo sanzioni tipizzate, possono spaziare dall’ammenda alla squalifica per il calciatore, fino ad arrivare, partendo dalla pena pecuniaria, al divieto di trasferimenti o alla penalizzazione per i club. Ovviamente, la situazione emergenziale del momento e le norme recentemente emanate dalla Fifa per la gestione dell’era Covid possono tutelare i club, ricorrendo determinate condizioni".
Viceversa, le Federazioni devono rispondere qualora un giocatore torni positivo al Covid dopo gli impegni con la rappresentativa?
"Partendo dal presupposto che appare assai complesso accertare il nesso di causalità tra l’attività svolta per la squadra nazionale ed il contagio, non esistono, al momento, casi di riferimento e dunque non è possibile fornire risposte certe. Tuttavia, è innegabile che una disciplina della fattispecie a tutela dei club debba essere prevista".
Il caso del Werder Brema può essere un aiuto per i club che dovessero decidere di non lasciar andare i giocatori?
"Secondo quanto emerso, il club tedesco ha semplicemente impedito la partenza per l’estero ai calciatori diretti in quei paesi per cui la Germania prevede un auto isolamento superiore a cinque giorni al rientro, così rispettando pienamente le disposizioni della Fifa. Appare evidente che se detti presupposti sussistessero anche per tesserati di club italiani, le società di appartenenza potrebbero legittimamente opporre il loro diniego".