di Leo Turrini
Scrivi Italia-Austria e potresti pensare a tante cose. Alle memorie risorgimentali, alle tre Guerre d’Indipendenza, all’"obbedisco" del Generale Garibaldi e poi ancora a Cesare Battisti e ad Alcide De Gasperi, che fu deputato nel Parlamento di Vienna prima di guidare l’Italia della ricostruzione...
Tutto vero, tutto storicamente accertato. Ma poiché intorno alla Nazionale di Mancini è tutto un turibolare d’incenso, tutto un fluire di retoriche narrazioni, insomma, meglio non esagerare. Meglio scomodare Totò.
Quisquilie e pinzillacchere, avrebbe spiegato l’eterno Principe della Risata. Solo che qui il Totò che ci interessa non si occupava della Malafemmena, bensì dell’area di rigore.
Totò Schillaci, già. Meteora clamorosa e spettacolosa di un calcio che non smettiamo di rimpiangere, non foss’altro perché all’epoca mica erano i procuratori a decidere del sentimento popolare (in verità avevano cominciato, i procuratori, ma erano visti con legittimo sospetto dalla pubblica opinione, non ancora rimbecillita dai social).
Inizio estate del 1990. Una Italia, intesa come nazione, agli sgoccioli dell’ottimismo scommetteva sull’euforia per la Nazionale. Il Bel Paese ospitava i mondiali di calcio, fra investimenti sballati (realizzammo stadi enormi, quando altrove già si andava in direzione di impianti più piccoli e a misura di tifoso sano e non demente), occasioni sprecate e spese difficili da giustificare.
In tutto questo, lui. Un picciotto di Sicilia con storie non semplici alle spalle. Un po’ di gol con il Messina, poi la Juve. Comprimario, non eroe. Ma convocato dal ct Vicini perché talvolta la fantasia va al potere e in fondo uno che si chiama Totò è un antidoto contro il malocchio.
Quello che accadde poi, non è mai stato spiegato razionalmente. Del resto, non esisteva una interpretazione plausibile degli eventi. Fu una follia. Come tale, non replicabile.
Nel mondiale del 1990, gli azzurri debuttavano appunto contro l’Austria. Notti magiche, aspettando un gol. Che non si decideva ad arrivare. Finché Vicini, spazientito, cacciò dal campo Carnevale e lo sostituì con il suo Pulcinella personale, pardon, Schillaci.
Ah, Totò! Pochi minuti gli bastarono per infilzare gli impettiti eredi di Metternich e quindi non si fermò più. Schillaci aveva gli occhi spiritati, segnava sempre e lui e il popolo, cioè noi, condividevamo la stessa domanda: ma come è possibile?!?
Gli azzurri quel mondiale lo persero, non per colpa di Totò ma ai rigori contro l’Argentina di Maradona. Fu uno shock per tutti e Schillaci dal sogno non si risvegliò più: Juve e Inter ne subirono il veloce declino, già nel 1994 il bomber di Italia90 si era rifugiato in Giappone. A giocare nella serie A nipponica. A monetizzare in yen la gloria di un mese.
Nel 1996 stavo in Estremo Oriente per altri motivi, lo rintracciai non lontano da Tokyo. Simpatico, cortese, educato. Mi disse: sa, quel gol agli austriaci cambiò per sempre la mia vita, a volte ancora come mi chiedo come sia stato possibile.
Ecco, appunto. Magari sabato sera a Wembley se lo chiederà Raspadori, potenziale Schillaci 4.0