di Angelo Costa
Non bastano le corse a tappe: Tadej Pogacar vince anche le classiche. E che classiche: se è vero che la Liegi è la più vera, oltre che la più antica, qui non si parla soltanto di un campione, ma di un fenomeno vero. Destinato a comandare a lungo, avendo appena cominciato: il Tour lo scorso anno è stato solo l’inizio, il resto seguirà. Anzi, segue già adesso. Liegi slovena, come un anno fa: dopo Roglic nell’albo d’oro ci va il bimbo di 22 anni che non va forte solo in salita o a cronometro, ma ovunque. Una sorta di piccolo Cannibale dall’aria mite, che vince quasi senza accorgersene, perché gli viene naturale: vinte due gare a tappe (Uae Tour e Tirreno-Adriatico), è ricomparso al Nord, con l’unica idea che ha in testa quando corre, centrare il bersaglio. Non ha potuto farlo alla Freccia, saltata per le false positività nella sua squadra, lo fa nella Decana, accarezzata un anno fa col terzo posto.
Stupisce la freddezza da consumato veterano con cui Pogacar sistema la pratica al traguardo, dove si presenta insieme ai quattro con cui è scappato in cima all’ultima cote, la Roche aux Faucons, 13 chilometri all’arrivo. Di questi, uno è Alaphilippe, che vuol riscattare la beffa dello scorso anno e riportare una maglia iridata in cima al podio dopo oltre trent’anni: niente da fare, gli tocca ancora inchinarsi a uno sloveno. Un altro è Valverde, che vorrebbe festeggiare i 41 anni eguagliando la cinquina di Merckx in questa classica: niente da fare, affrontare la volata in testa si rivela un peccato di golosità. Gli altri due sono Woods e Gaudu, che va sul podio da terzo. A sistemare tutti, Pogacar provvede con un ultimo chilometro perfetto: sceglie la posizione giusta piazzandosi in coda, rifiata e quando si lancia Alaphilippe se lo divora come un esperto velocista. E’ il giorno di Pogacar, campione di semplicità che in premio chiede solo un po’ di tempo libero da passare con la fidanzata Urska Zigart, ciclista come lui.
Ma è anche il giorno dei grandi sconfitti: prima di Alaphilippe e Valverde, beve l’amaro calice la Ineos, che accende una corsa fin troppo piatta con Geoghegan Hart e con Carapaz (alla fine squalificato per posizione irregolare in discesa), ma non trova Adam Yates quando conta. Succede ad altri, non agli italiani che la loro parte la fanno: Formolo, sedicesimo, è fra chi lancia Pogacar, Lorenzo Rota dà un senso alla sua presenza restando in fuga tutto il giorno. "Sono senza parole, amo questa corsa e volevo vincerla", l’emozione di Pogacar, pronto a concentrarsi già sui prossimi obiettivi, "riposarmi un po’ e poi preparare il Tour": con quale idea in testa è fin troppo facile immaginarlo.