Italo Cucci
Fra i ritratti del coraggio - pur se in tono minore - ci metto anche Roberto Mancini. Basta guardarlo, nei tantissimi passaggi in tivù (che già da sola spaventa taluni vips): sorride sereno, un tempo era anche spavaldo, ma era nei club privati, non nell’Istituzione; risponde a tutte le domande, quando le trova cretine (succede) aggiunge un sorriso complice, non compassionevole: ha passato una vita con gli scribi, i televisabili non lo preoccupano. Anche in panchina s’agita giusto un po’ quando rasserena uno che esce e rinfresca uno che subentra. Sembra abbia sempre fatto questo mestiere - che io chiamavo Ct del parastato di Coverciano, a partire dal Valcareggi che l’Europeo l’ha vinto, unico, nel 68 - come se ci fosse nato dentro. Ho smesso di tampinarlo - mentre altri lo sfottevano - quando ha cominciato a fare convocazioni a gogo, partendo dalla Z, Zaniolo, per arrivare alla A, Acerbi. Selezionatore. Come Bernardini, il Diogene che cercava uomini con la lanterna dell’intelligenza: quelli dei 101 chiamati in azzurro che restarono per Bearzot fecero la sua fortuna - e la nostra - nell’82.
Parlo del Mancio ma non voglio adeguarmi agli incensatori che, in mancanza di meglio - ovvero campionissimi - eleggono lui Campione Unico. E ribadisco che mi piacerebbe se anche all’ultimo minuto di questa vigilia s’incavolasse con qualcuno venendone ricambiato: come dice Mou , il rumore dei nemici è manna dal cielo.
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