Salta felice come un bambino Stefano Pioli, abbraccia ad uno ad uno i suoi ragazzi, poi cammina verso la tribuna. Sorride, ha gli occhi lucidi, manda un bacio alla sua famiglia, pochi istanti prima che gran parte dei 18mila tifosi rossoneri presenti al Mapei Stadium invadano pacificamente il terreno di gioco per la festa. Quattromilatrentatré giorni dopo il Milan rivince lo scudetto, il primo dell’era post-berlusconiana. Campioni d’Italia dopo undici anni infarciti di mistero, sofferenza e speranza. Ci sono state le cadute, vero, ma pure le ripartenze. Con coraggio e orgoglio.
Scudetto Milan: in 50mila nella notte rossonera
Sassuolo-Milan, pagelle rossonere: Giroud "le Roi", Leao assistman implacabile
Non è il Milan del Cavaliere, certo, ma è comunque un Milan infinito, capace di ottenere un successo meritato e straordinario per gioco, entusiasmo, intuizioni e freschezza. Quel che si è visto anche ieri contro il Sassuolo, aggredito e spazzato via in 45’ (0-3) grazie alla doppietta di Giroud e all’acuto di Kessie, innescati dallo straripante Leao, il re degli assist. Non è la vittoria dei singoli ma il trionfo del gruppo. Perché se oggi il popolo rossonero, stufo di sentirsi ripetere che il Milan era solo “una squadra rivelazione”, può sventolare il tricolore, è proprio grazie all’impegno quotidiano degli ultimi due anni fra scetticismo e diffidenza. Se c’è un momento chiave della ricostruzione è quel 22 dicembre 2019, ovvero il punto più basso della storia recente rossonera. In quel giorno Atalanta-Milan terminò 5-0. Da lì nacque un altro Milan, il lunedì mattina Zvonimir Boban chiamò Ibra a Milanello. Fu allora che si ribaltò tutto, perché Zlatan è Zlatan. Il primo a credere nello scudetto. E a trasformare il sogno in realtà.
Il 19° tricolore della storia milanista è figlio di una seria programmazione del fondo Elliott e delle capacità di dirigenti e staff tecnico, bravi a ripartire dalle macerie lasciate dalla sciagurata gestione di Yonghong Li e a rifondare una squadra restituendo valore e dignità alla storia del club. Dal manager Ivan Gazidis, che è riuscito pure a rimettere i conti a posto grazie ad una oculata gestione finanziaria, al “normalizzatore” Pioli (praticamente esonerato prima della pandemia del 2020 per far posto a Rangnick), sempre in grande sintonia con Maldini e Massara. Insieme, mattone dopo mattone, hanno costruito una squadra di talenti: da Ibra a Hernandez, da Tomori a Tonali, fino a Giroud. E poi Maignan, che non ha fatto rimpiangere Donnarumma. Il tecnico ha pure il merito di aver rilanciato Calabria e Kjaer, ma soprattutto ha fatto maturare Leao, determinante con gol e assist. Insomma, un capolavoro dopo 23 anni da allenatore. Perché Pioli ha preso una squadra giovane e avvilita, le ha dato l’anima di un gioco facendola crescere. E ha perseguito un unico obiettivo, anche quando la classifica sorrideva ai rivali: il Milan non si è mai sentito inferiore alle altre. Pure nei giorni in cui Donnarumma e Calhanoglu sono andati via a parametro zero. La società era stata chiara: niente ricatti, solo gente motivata. Autonomia e scelte competenti. Così il Milan ha capovolto la sua storia.