Torino, 3 agosto 2015 - IL NUOVO Italo Allodi. Per tutti Beppe Marotta. Ci ha aperto le porte del suo ufficio al secondo piano di corso Galileo Ferraris e ci ha raccontato le sue verità.
Lei rappresenta un dirigente anomalo nel mondo del calcio. Non urla, non ama apparire, ma fare. "Il calcio è un circo, c’è spazio per tutti i generi di animali. Ci sono vari profili e prototipi di personaggi. Per aver autorevolezza non bisogna gridare, io sono un uomo di sintesi, preferisco lavorare sodo, vincere, non affermarmi come personaggio di colore, da circo"
Le ha mai chiesto scusa Lotito? "No. Ma neanche m’interessa".
All’esterno la Juve è vincente ed antipatica... "Essere antipatici è caratteristica dei vincenti, attirano invidia. Questo però non significa essere arroganti. Noi siamo ambiziosi ed orgogliosi del nostro lavoro. Sono consapevole che la Juve o la si odia o la si ama".
Cosa ha provato quando le hanno proposto di passare alla Juve? "Ero orgoglioso. E’ stato il coronamento di un lungo e duro lavoro durato decenni. Sono un uomo di provincia. Che viene dalla gavetta. Alla Juve dovevo arrivare un anno prima rispetto alla primavera del 2010. Per una mia valutazione sono rimasto alla Sampd, avevo un debito di riconoscenza verso Riccardo Garrone. L’avvento di Andrea Agnelli è stato decisivo".
Insieme avete creato il modello Juve vincente "Un modello dove la società è al centro di tutto e sopra ogni cosa. Conta la Juve, non i personalismi. Prima i grandi club badavano al risultato sportivo e poi a pianificare quello economico. Del tipo abbiamo vinto lo scudetto, ma quanto abbiam perso? Ecco l’assegno. Anteponevano il bilancio, noi cerchiamo di mixare vittorie ed equilibrio economico-finanziario-patrimoniale. Abbiamo uno stadio di proprietà, che genera ricavi e punti".
Perché la Juve è diversa? "Guardate le proprietà delle squadre, cambiano in continuazione. Oggi ci sono, domani chissà. E così certi dirigenti badano più alla quotidianità che ad una programmazione a medio termine, preferiscono spendere soldi per i nuovi giocatori e cambiare allenatore, che pensare al futuro. Alla Juve è diverso, la famiglia Agnelli è stata l’apripista, ha dato un senso di appartenenza, di solidità e continuità dal 1923, vedono le cose con tranquillità e sicurezza. Non si improvvisa alla Juve".
Come percepisce le proprietà straniere? "Come fenomeno negativo. Il senso di appartenenza ti aiuta molto nel raggiungimento degli obiettivi. C’è stato un cambiamento del modello calcio Italia, il mecenatismo non è più sostenibile, alcuni si affidarti a personaggi stranieri che dovrebbero garantire certe cose, dovrebbero appunto. Gli stranieri arrivano e spariscono con facilità, essendo radicati a centinaia di migliaia di chilometri, chi li vedono più?"
Meglio il Made in Italy? "E’ un plusvalore. La nostra proprietà è italiana, noi siamo italiani, avendo giocatori italiani, bravi e lo sottolineo tre volte, è più facile arrivare a vincere lo scudetto. Sanno quanto è importante, come si fa, quanto è importante indossare la maglia della Juve. Aiutiamo la nazionale. Bonucci è arrivato che era un ragazzino, oggi è un autorevole giocatore della Juve e della nazionale. Gli italiani sono molto più legati alla maglia degli stranieri, prendete il caso di Tevez. E’ impensabile che un giocatore di quella caratura ci dica voglio tornare a casa. Se lo fa Bonucci, da Torino va a Viterbo (risata, ndr)".
Qual è l’acquisto di cui va più fiero? "Ricordo con piacere Gentile prima della Juve, arrivò al Varese come aggiunta di un’altra operazione. Torricelli era al Como con me".
La prima operazione importante? "La cessione di Casiraghi dal Monza alla Juve, l’incontro con Boniperti, una fotografia, un ricordo che mi porterò sempre dentro".
Si sente più Boniperti o Moggi? "Quando uno si forma come dirigente deve cogliere gli aspetti migliori dalle persone che ti circondano, ho preso qualcosa da tutti".
I giocatori da piccoli avevano un poster in camera, lei a chi si è ispirato? "Ad Italo Allodi, la prima vera figura di manager calcistico moderno, il precursore del modello attuale. Lui diceva che nel calcio un muratore poteva diventare architetto il giorno dopo. Non è normale che uno faccia tutto. Allodi è stato un precursore della competenza, ha inventato un ruolo, come Herrera ha valorizzato quello di allenatore".
Parliamo di attualità. Quest’anno avete cambiato tanto. Quali sono i vostri competitor per lo scudetto? "Dopo tanti anni le milanesi siano tornate ad investire, entrambe sono candidate alla vittoria, Roma, Napoli e anche questa Lazio, che non ha grande caratura, ma è sempre pericolosa".
Sarri che si ispira a Sacchi. Può dare qualcosa in più al Napoli? "Sulla carta potrebbe apparire un controsenso, perché prima si sono affidati ad un superesperto come Benitez. Ha alzato l’asticella del rischio De Laurentiis, deciderà il campo, come al solito".
Il tormentone Pogba. Ci spieghi. "Nel calcio moderno la decisione dei calciatori è fondamentale, Tevez docet. E’ scontato che noi lo vorremmo tenere fino a quando smette di giocare, non possiamo permetterci di fare pazzie in termini di stipendi, alcuni club possono garantirgli il doppio".
Capitolo trequartista, non è che ce l’avete già in casa? "Infatti, siamo alla ricerca numericamente di un centrocampista, non di specifiche qualità, in un contesto di settore molto eclettico, che annovera Pogba, Marchisio, Khedira, Pereyra. Dybala potrebbe fare il trequartista".
Isco e Oscar? "Sono due giocatori non stellari, ma farebbero al caso della Juve, purtroppo non sono nostri, non li prenderemo mai".
Nella sua squadra ideale prenderebbe Conte o Allegri?" "C’è un allenatore per ogni tempo, entrambi sono vincenti, ma diversi come modus operandi e caratteristiche. C’è stato un momento in cui c’era bisogno di Conte, oggi di una figura come Allegri. Entrambi ci hanno portato al successo. Quello che conta è che la società, non c’è nulla sopra, da noi funziona così".