Italo
Cucci
L’Italia di Mancini non ha bisogno di sollecitazioni particolari ma non è retorica dire che i compagni giocheranno anche per lui, primo Man of The Match azzurro, primissima idea di quel che la Squadra ci avrebbe mostrato dalla Turchia in poi. In quelle ore dissi che sarebbe stato utile - dico utile - armarsi anche di paura, quel tanto che basta per mettersi al sicuro, non cadere nella trappola del consenso dei critici e dei tifosi salito alle stelle per il platonico raggiungimento del record di Vittorio Pozzo. Battuta la Turchia, a domanda rispose Spinazzola: “Paura no, prudenza sí”. Eppure, chi provava fastidio per quella parola s’inventó qualcosa di peggio: “con il Belgio come una finale”. Altro che paura. Si sottintendeva la potenza devastante dei Diavoli Rossi, primi nel ranking mondiale, mentre mi piaceva ricordare che nella loro storia non avevano mai vinto nulla; mentre noi, italianuzzi, quattro titoli mondiali, un’Olimpiade e un Europeo li abbiamo stampati nel passaporto. Come una finale? Da perdere, naturalmente. Ne erano sicuri De Laurentiis e Friedkin che presentavano a Napoli e Roma Spalletti e Mourinho immaginando prime pagine trionfalistiche e consolatorie per gli italici salici piangenti: sono finiti a pie’ di pagina, un richiamino e via.
Io ci ho creduto, nella sconfitta del Belgio, non per sapienza ma perché - come scrivono i giornali di tutto il mondo - l’Italia è la squadra più bella dell’Europeo. Forse anche la più forte, rivedendo la facilità con cui è riuscita a imporsi alla Svizzera che ha umiliato la Francia e rivelato la debolezza della Spagna. Eppoi, vuoi mettere avere pilastri come Chiellini e ragazzi come Donnarumma, Barella, Insigne? (Chiedo sottovoce al Mancio di ridarmi Locatelli ). Adesso leggo che a Wembley ci giocheremo un’altra finale, perché la Spagna, ah, la Spagna…La finale vera è l’11 luglio, sempre a Wembley. Cerchiamo di arrivarci. Mancini - bontà sua- non s’accontenta mai.