di Angelo Costa
Il pagellone finale del Giro d’Italia.
10 Hindley. A 26 anni porta il suo Paese nell’albo d’oro senza sbagliare un colpo: è l’unico dei tre che si giocano il Giro a vincere una tappa, è quello che dimostra di saper muovere meglio la squadra, a Torino e sulla Marmolada. Vince perché è anche quello che fa di più per riuscirci.
9 Van der Poel. Non solo è l’unico vero campione in gara, ma corre anche da campione. Vince una tappa, un paio le butta via, va all’attacco anche in giornate meno adatte a lui: è così che conquista l’amore della gente. In più regala il gesto più bello di questo Giro, l’applauso sul traguardo all’altro talentissimo Girmay che lo brucia in volata.
8 Nibali. Si ferma ai piedi del podio, dopo aver lottato come un leone contro un’età (38 a novembre) che gli presenta il conto. Onora il suo ultimo Giro correndo al passo dei migliori: meglio per lui e peggio per il ciclismo italiano che ancora non intravede all’orizzonte il suo degno erede.
8 Intermarchè. E’ tra le squadre che corre meglio e i risultati si vedono: due tappe vinte, con Girmay e Hirt, l’ottavo posto finale del quasi quarantenne Pozzovivo, che vince così la scommessa con se stesso di finire nei primi dieci. E dire che ancora c’è chi racconta che è un team di seconda fascia...
7 Giovane Italia. In attesa di un uomo da corsa a tappe (e magari di un nostro team d’elite), le uniche gioie le regalano i ragazzi svezzati all’estero: gli sprint di Dainese e Oldani, l’impresa di Covi sulla Marmolada, la crono finale di Sobrero sono timidi, confortanti segnali che piccoli ciclisti italiani crescono.
7 Demare. Il più veloce in Giro. Conquista tre tappe e, di conseguenza, il titolo di francese più vincente sulle strade rosa, superando Anquetil e Hinault, oltre alla maglia ciclamino della classifica a punti: la sua è una campagna d’Italia degna di Napoleone.
6 Juanpe Lopez. Ci si aspettava il suo omonimo colombiano, invece ecco questo bimbo spagnolo dalla lacrima facile balzare in vetta al Giro e restare in rosa dieci giorni. Anche lui si fa notare per un omaggio elegante: l’abbraccio di riconoscenza e stima a Nibali dopo aver scalato con lui la Marmolada.
6 Team italiani. Bardiani Csf, Eolo e Drone Hopper si fanno puntualmente notare, entrando nelle fughe da lontano e arrivando a giocarsi la tappa. Mostrano anche facce giovani (l’atteso Fortunato, l’interessante Covili): se hanno deluso loro, cosa dire di molte squadre d’elite viste solo alla partenza?
5 Ciccone. Già fuori classifica, è bravo ad approfittarne per andarsi a prendere la tappa di Cogne. Rovina tutto prendendosela con chi l’ha criticato, polemica che si rivela un boomerang nei giorni successivi, nei quali va regolarmente in fuga e regolarmente si stacca.
4 Carapaz e Landa. Passano giornate intere a far lavorare i compagni, annunciando attacchi che non arrivano mai. Né l’ecuadoriano, partito come favorito, né lo spagnolo, avvantaggiato dal percorso duro, danno mai un segnale forte: quando lo dà Hindley, per entrambi è notte fonda.
3 alla tv. Intesa come ripresa delle tappe. Nulla da dire sulle qualità delle immagini di Euro Media Group, il nuovo broadcast scelto dagli organizzatori, discutibile la scelta delle inquadrature: più della lotta fra i migliori e di altri episodi chiave, si sono visti paesaggi e cartelloni pubblicitari.
2 Giro. Non sarà certo colpa del percorso, anche se la seconda settimana grandi occasioni per dar battaglia non ne ha fornite, di sicuro è mancato lo spettacolo: da anni non si vedeva un Giro con i migliori alla pari e con fughe a lunga gittata puntualmente premiate dal successo.
1 alla malasorte. Già privo in partenza dei tre più forti specialisti (Pogacar, Roglic e l’ultimo vincitore Bernal), il Giro ha perso per strada per guai di vario genere Dumoulin, Simon Yates, Almeida e il pimpantissimo Bardet, per non dire di Girmay spedito a casa dal tappo dello spumante finitogli nell’occhio: resta confermato che la sfortuna è sempre il peggior avversario in Giro.