Palermo, 11 novembre 2014 - Una maglietta appoggiata sul cuore, sotto quella ufficiale. Paulito la porta al viso per asciugarsi poi, zuppa di sudore e lacrime, la mostra al resto del mondo: Fuerza padrinos, los quiero. A volte in un gol è racchiusa una vita e anche se Paulo Dybala è ancora un ragazzo, della vita ha già scoperto qualcosa che si sarebbe risparmiato volentieri. Per esempio il dolore per la perdita del padre, che la morte gli ha portato via quando lui aveva appena 15 anni. E adesso che ne compie 21, sabato prossimo, lo spettro di un'altra morte forse ancora più difficile da accettare. Perchè il padrino, cioè il nuovo compagno della madre, lo ha sempre considerato come un figlio suo e lo ha sempre seguito passo passo, come un padre vero. Solo che da qualche settimana sta lottando contro una malattia feroce, che rischia di metterlo ko.
E il pensiero di Paulito, così lo ha sempre chiamato il secondo papà, sta sempre al capezzale di quel letto. Forza padrino, ti voglio bene. Anche domenica, quando il rigore trasformato contro l'Udinese avrebbe meritato solo un'esplosione di gioia. Ma l'argentino con i piedi di seta e il carattere di un toro è fatto così, riesce a sentirsi davvero felice solo se sono felici anche le persone a cui vuol bene. Legatissimo alla famiglia, con l'idea di costruirne una tutta sua anche se con molta calma, mammone al punto giusto, fedelissimo a pochi amici ma sinceri, soprattutto quelli con cui giocava da bambino. Non c'è da stupirsi, insomma, se una parte delle sue radici affonda in Italia. Merito della nonna materna, che sposò un polacco ma grazie alle sue orgini ha permesso al nipote di prendere anche la cittadinanza del nostro Paese nel 2012.
Senza contare che gli argentini, già per natura, ci somigliano non poco. Domenica, con quel gol e quella dedica commovente, ha fatto ridere e piangere tutta Palermo. Una città e una squadra dove il campioncino, soffiato da Zamparini sotto il naso di Moratti, è già diventato un trascinatore. Nato a Laguna Larga, è cresciuto all'Instituto de Còrdoba proprio come il suo illustre concittadino, nonchè campione del mondo nel 78, Mario Kempes. Quando il padre muore, i familiari decidono di mandarlo a vivere nella foresteria del club dove per tutti diventa el pibe de la pensiòn. Poi debutta in prima squadra e ai primi colpi diventa per tutti la jaya, il gioiello. Prima o seconda punta ma anche trequartista con tutte le qualità per far impazzire gli avversari, quando si muove sulla linea del fuorigioco.
Mancino, bravissimo a difendere il pallone e a pescare con assist millimetrici il compagno giusto nel momento giusto, sprigiona forza e potenza non solo per il carattere ma anche grazie ad un fisico possente che non gli impedisce comunque di muoversi con estrema agilità. L'hanno paragonato a Sergio Aguero, Javier Pastore, a Montella e dopo la sua prima tripletta anche a Maradona. Mihajlovic e Tardelli ci rivedono addirittura Messi: «Nei movimenti brevi ha la stessa andatura». Gli unici che non se lo filano sono il presidente e il cittì dell'Italia, eppure uno così alla nostra Nazionale povera di attaccanti farebbe parecchio comodo. «Due anni fa mi avevano contattato per la Under 21 poi non se n'è fatto più niente» ha spiegato Paulo. Ma si può sempre rimediare. Volendo, sia lui che l'Italia.