di Angelo Costa
SESTOLA (Modena)
Staffetta italiana al Giro: scende dal trono dopo tre giorni Pippo Ganna, si veste di rosa Alessandro De Marchi. Da un predestinato a uno che in carriera ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato: evidentemente lo pensa anche lui se, dopo la passerella sul podio che sognava da una vita, dice "mi sento quasi fuori posto". E’ invece al posto giusto De Marchi in una giornata da classica del nord, acqua e freddo che segnano le gambe oltre che la classifica: come sua abitudine, il friulano entra nella lunga e corposa fuga di 25 coraggiosi dai quali a Sestola uscirà il vincitore, lo statunitense Joe Dombrowski, già vincitore di un Giro baby, che per festeggiare oggi trent’anni si regala il primo successo da pro lontano da casa.
All’azzurro basta difendere con i denti il secondo posto, davanti a uno splendido Fiorelli, per cambiarsi destino e soprannome: non più Rosso di Buia, ma Rosa d’Italia. "E’ un premio ai mille tentativi fatti in undici anni di carriera, la maggior parte andati male: lo dedico a me stesso e a mia moglie Anna", dice commosso De Marchi, 34 anni, tre tappe alla Vuelta e un bagnatissimo giro dell’Emilia in bacheca, stupito quando gli vien chiesto perché indossi un braccialetto per Giulio Regeni, friulano come lui, rapito e ucciso in Egitto. "Niente di politico, solo due genitori che cercano la verità: da padre e marito non vorrei trovarmi in una situazione così", spiega.
Intanto alle sue spalle il Giro inizia a cambiare i connotati, regalando le prime indicazioni. La più importante sui tre convalescenti, con Bernal che fa sapere di star meglio di Evenepoel e Nibali, ai quali comincia a limare dei secondi: è un primo segnale, non una sentenza. Succede tutto sull’ultima rampa di colle Passerino, salitaccia che fa venire a galla l’intera fatica di giornata. Quando sale la temperatura della tappa, il primo a scendere è Almeida, rosa d’autunno lo scorso anno: quattro giorni ed è già lì che saluta i sogni di gloria. A tre chilometri dalla meta, prima Landa, poi Vlasov stuzzicano le voglie di Bernal, di nuovo in formato competitivo: al suo trenino si agganciano anche il lungagnone Carthy, da tener d’occhio sulle salite, e Ciccone, portatosi avanti in anticipo. Gli altri tutti dietro, da Evenepoel a Simon Yates, che contengono i danni in una decina di secondi, fino al bimbo australiano Hindley e a Nibali, col polso dolorante alla vigilia e sicuramente non aiutato dal pessimo clima dell’Appennino emiliano, entrambi a mezzo minuto. Domani si replica, nelle Marche: altra tappa tosta, altro esame.