"Guarda cosa succede in Champions adesso, guarda il Barcellona, o ripensa l’anno scorso agli Europei: ti aspetti il gran finale di stagione, di ammirare i tuoi campioni al top perché chiamati ad affrontare il meglio d’Europa, e invece spesso ti capita di vedere squadre stanche che si trascinano fino ai rigori e illustri giocatori che li sbagliano: i campionati a venti squadre sono troppo lunghi e pesanti; spesso - come succede in Italia - combattuti fino in fondo almeno per un posto nelle coppe. Qui in Germania si gioca in diciotto squadre, a qualcuno sembrerà un dettaglio poco significativo e invece quattro partite in meno sono un mese di riposo in più. Come mi va? Direi bene, in campionato e in Champions, il 5 a 1 all’Arsenal non è male, poi si vedrà... Il Bayern ha una sola pretesa, restare competitivo: Guardiola è arrivato tre volte in semifinale, spero di farcela anch’io".
Non mettere le mani avanti, hai una squadra forte. Eppure capita anche a te l’attimo fuggente di rabbia, quel dito verso il cielo...
"Rabbia no, fastidio... poi cos’ho fatto? Ho mostrato il medio a quel tifoso dell’Hertha che mi insultava e sputacchiava...".
Era proprio tedesco o hai avuto il sospetto che fosse italiano con risentimenti personali?
"Ci ho pensato... mi ha detto più volte ‘vaffan....’, in italiano, ma penso che ormai sia un insulto internazionale". Ecco Carlo Ancelotti, uno dei miei poulain, scoperto e premiato quando giocava in C, a Parma, nel 1979. Lo presentai a Liedholm in una sera di festa alla Ca’ del Liscio di Ravenna, Nils se lo portò a Roma e così Carletto cominciò una carriera importante da calciatore vincitutto con la Roma, il Milan e la Nazionale, una storia da mediano forse più ricca di quella di Oriali. Più tardi quella di allenatore, prodigiosa e inimitabile, vissuta surclassando i maestri, sempre vincente alla guida di Milan, Chelsea, Paris St. Germain, Real Madrid, oggi al Bayern sul punto di superare record storici appartenenti a Bob Paisley e Pep Guardiola (non cito la Juve perché non ne abbiamo mai più parlato, brutto ricordo e basta). Un mito, senza dubbio, eppure è rimasto un ragazzo di campagna fortemente acculturato, anche uomo di mondo quando serve, piccola patria emiliana, casetta (si fa per dire) in Canadà e un bel sito internet nel quale... dà i numeri: da giocatore, 468 partite, 16 stagioni, 3 squadre, 26 volte internazionale, 14 titoli, 42 gol, 57% di vittorie, mai un cartellino rosso; da allenatore, 999 panchine in 21 stagioni, 20 finali, 18 titoli, 1842 gol delle sue 8 squadre, 591 vittorie(59%). Oggi all’Allianz Arena contro l’Amburgo tocca insomma la millesima panchina della sua carriera. Ancora giovane - classe 1959 - eppure saggio come un vecchio maestro.
Mi piace proporre a Tavecchio (o chi per lui) il discorso sulla serie A a 18, come in Germania, gesto molto più riformista delle bubbole di Infantino - 48 squadre ai mondiali e abolizione del pareggio, o di Van Basten, rimozione del fuorigioco, per non dire della Var, Video Assistant Referees, alias moviola in campo...
"La moviola? Basta che non si discuta troppo, che non si faccia il Bar Sport in campo. Il gol-non-gol va bene. Andrebbe benissimo anche il tempo effettivo, se si capisse il suo valore di correttezza e praticità. Sul fuorigioco Van Basten mi ha detto che era solo una provocazione. Le 48 squadre corrispondono a una sempre crescente richiesta di partite, il calcio televisivo ha conquistato il mondo, toccare Paesi nuovi vuol dire far quattrini...».
Preferisco immaginare progressi tecnici, un gioco sempre più avvincente. Secondo te è possibile migliorare? Tu hai portato qualche novità?
"Di nuovo nel calcio non c’è niente, non s’inventa niente. Quello che ti chiedono è portare la tua esperienza, la tua diversità, la tua filosofia - ogni tecnico ha la sua - e condividere il tutto con i collaboratori. Quando penso alla Reggiana, tanto tempo fa, ricordo che se dopo l’allenamento ti facevano male le gambe dicevano che avevi lavorato bene; poi ho scoperto che non è vero. La problematica fisica ha un altro peso, tre ore di lavoro bastano per rispondere alla richiesta di velocità, tenuta di palla...".
Continuiamo a dire che il calcio italiano - il campionato di A - è in sofferenza rispetto al resto d’Europa, eppure il successo dei tecnici italiani all’estero dice il contrario, come hai già dimostrato in Inghilterra, Francia e Spagna.
"È vero, siamo all’avanguardia, merito della scuola di Coverciano e del campionato altamente tattico. Noi discutiamo di difesa a tre o a quattro non per chiacchierare, ma per lavorare di fantasia e valutare il valore dell’avversario, allontanando sgradevoli sorprese. In Inghilterra si gioca a 4, dappertutto, tu arrivi, cambi tutto, le sorprese le fai tu, tu Ranieri a Leicester, tu Conte al Chelsea".
Io provo sempre disagio quando sento parlare insistentemente di modulo a 3, a 4, di 3-5-2, 4-3-3, cos’è successo per cambiare la lingua, il racconto?
"Ti capisco, ma oggi il calcio è meno specialistico, si possono occupare più ruoli, ieri dicevi 2 su 11, 3 su 7, io dovevo tenere il 10, poi è cambiato tutto, il gioco e i giocatori sono più evoluti".
Sembra quasi che siate degli scienziati. Mi dici perché poi spesso siete trattati a pesci in faccia? Hai sentito cos’ha detto De Laurentiis a Sarri?
"Il problema è che tutti si sentono allenatori, soprattutto i presidenti".
Basta pensare a Zamparini...
"(Non raccoglie, nda) Credo che le osservazioni al tecnico sarebbe meglio farle davanti a un bicchiere di vino piuttosto che in tivù".
Non capisco perché si strapaghino i tecnici per poi cacciarli: forse per fargli fare da parafulmini?
"No, c’è anche un sottile gioco psicologico, l’allenatore spesso è colui che perde, presidenti e giocatori quelli che vincono, e ci credono, e diventano insofferenti davanti alle scelte del tecnico, quando vengono sostituiti, come Bonucci. Incidente di percorso, un fatto episodico, basta un po’ di buonsenso e tutto torna a posto. Comunque la nostra vita è sempre più difficile, più che pensare alla partita devi lavorare sugli uomini".
Tu, a parte il dito medio, te la cavi bene. A Monaco sei anche fra amici...
"Sono legatissimo a Rummenigge, parliamo tanto, in italiano naturalmente, lui è come ai tempi dell’Inter quando viveva sul Lago di Como. Con la lingua mi arrangio, certo erano più facili francese e spagnolo, l’inglese così così, il tedesco è duro, lo studio tre ore alla settimana...".
E dire che le frasi hanno la costruzione latina...
"L’ho sentito dire, ma chi sa niente di latino? Quando sono arrivato alla Roma ho dovuto studiare da privatista...".
Forse Roma è stata il top, per te...
"Beh, negli anni Ottanta era spettacolosa, venivo da una piccola città emiliana, fui travolto dalla bellezza, ma in realtà mi trovo bene dappertutto, Parigi, Londra, Madrid, Monaco, qui sembra di essere in Lombardia, non è una Germania tanto diversa da noi. Poi c’è anche il Canada, Vancouver, il mio ritiro tranquillo...".
Tutti questi trasferimenti da solo o con famiglia?
"Con mio figlio, che è il mio assistente. E con mia figlia, moglie del nostro dietologo...".
Alla prima contestazione ti accuseranno di nepotismo...
"Già successo, in Spagna, ma credimi: non metterei mai a rischio la loro dignità se non sapessi che sono davvero bravi".
Finiamo con un po’ di Champions. Cos’è successo al Barcellona castigato dal Psg?
"Messi, Neymar, Suarez, sempre loro... poi voglia di rinnovamento dopo l’addio di Xavi e Alves: cambiare porta problemi".
Il Napoli può farcela con il Real?
"Sarà dura, durissima. Quelli sono dei fenomeni: hanno segnato in contropiede".
Sì, a una squadra italiana...
"Ma Zidane ha studiato in Italia...!".
Hai visto la Juve col Porto?
"Ha fatto una buona partita sfruttando la superiorità numerica con pazienza e intelligenza. Il passaggio ai quarti è praticamente archiviato".
Mi saluti con una battuta in tedesco?
"Ja: Mia san Mia".
Ma questo è reggiano...
"No, è lo slogan del Bayern: noi siamo noi!". Beato te.