Napoli, 4 maggio 2023 – Avessero mai inventato un ‘meritometro’, uno strumento cioè con il quale misurare quanto un risultato sia meritato, beh probabilmente Luciano Spalletti lo squaglierebbe, per quanto si è guadagnato questo scudetto. E per dirla come la direbbe lui, “i comportamenti giusti” dei suoi stavolta lo hanno portato lassù. Anzi, ce lo hanno spedito a razzo. Ok, ma chi li ha scolpiti questi comportamenti?
Facile dire ora come Big Luciano abbia costruito un capolavoro trasformando alcune figurine delle passate gestioni, in giocatori-mazzafionda per centrare il terzo titolo del Napoli a distanza di 33 anni da “Quel“ titolo, firmato DAM, Diego Armando Maradona. Facile parlare di questo o quello e celebrarne la gloria dopo averlo guardato un po’ di sbieco, alzando il sopracciglio così come si fa con i ‘perdenti di successo’, quelli che incassano ammirazione, applausi, ma non vincono mai. Almeno qui da noi, a parte un paio di coppette con la Roma. Magari, per celebrare lo scudetto che più di tutti negli ultimi anni porta la griffe del suo tecnico – forse solo il primo titolo della Juve di Conte può somigliare un po’ a questo – sarà bene tornare a quelle Idi di agosto, quando i tifosi inferociti protestavano per le cessioni a mitraglia firmate De Laurentiis.
Insigne era ormai un ex da un pezzo, Ospina se n’era andato per dar spazio al mai convincente Meret. Eppoi via il ricamator spagnolo Fabian Ruiz, via Mertens piezz’e’ core al termine di un tormentone infinito. Via Ghoulam e, soprattutto, quel che era sembrato il colpo letale alle ambizioni future, l’addio a Koulibaly. Per prendere chi poi? Ndombele? Chi? Kim? Forte eh, ma vuoi mettere Kouly? Jack Raspadori? Di talento, ma acerbo. Il Cholito, buon giocatore ma vuoi mettere Lorenzo e Dries? Eppoi lui, Kvaratskhelia. In quanti conoscevano il gemello diverso di Osimhen con cui avrebbe formato la coppia più forte d’Europa? Merito loro? Sì, in parte, ma non dimentichiamo come Luciano Spalletti sia in grado di trasformare in monumenti d’oro i suoi attaccanti. Totti, da lui inventato centravanti, vinse la Scarpa d’Oro con Spalletti. Dzeko mise insieme numeri mai visti nè prima nè dopo in Italia: 39 gol in stagione nel 2016/17. Al punto che lo stesso Edin lo ringraziò pubblicamente: "Grazie a te sono un calciatore migliore”. Totti, magari, è stato meno riconoscente, si sa…
Permaloso, irascibile, fissato, sospettoso, paranoico: su Spalletti quante ne abbiamo sentite in questi anni. Però come sono belle le sue squadre, dall’Udinese, alla Roma, fino al Napoli. Lui che dorme al campo di allenamento per immergersi in pieno e senza mezze misure nel lavoro e nei meandri più profondi del suo gruppo squadra. Lui che ha vinto lo scudetto con gli scarti degli altri: Mario Rui, Politano, Juan Jesus, lo stesso Meret che pareva non dover sbocciare mai. E vogliamo parlare di Lobotka? Un oggetto misterioso al massimo buono per la panchina con Gattuso, trasformato da Spalletti nel Pizarro alla slovacca, fulcro e primo riferimento di un gioco scintillante. Spalletti ha sfatato l’italica fesseria secondo la quale se vuoi vincere qui, devi giocare male e difendere. Lui gioca meravigliosamente e ha vinto. E ha sfatato il tabù secondo il quale vince solo chi spende – senza entrare nel ginepraio dell’onestà chiamato in causa da De Laurentiis – perché lui è riuscito a vincere il titolo con un monte stipendi che ad inizio stagione è stato ridotto del 27% e cioè da 61,7 milioni netti di buste paga a 45,24 milioni, con un nuovo tetto ingaggi imposto da ADL pari a 3,5 milioni. Dite un po’ allora: il ’perdente di successo’ è un fenomeno o no?
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