Cagliari, 24 gennaio 2024 – L’autunno del 1970 è quello immediatamente successivo allo scudetto del Cagliari. Di Gigi Riva canta anche Raffaella Carrà: lo fa a Canzonissima (17 ottobre) sul primo canale nazionale. Il segnale Rai arriva timido in alcune zone della Sardegna. Ma arriva. Dell’isola non si parla più solo ormai come di una questione. Di un problema. Marcello Fois, scrittore, all’epoca aveva 10 anni e viveva in Barbagia.
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Che cosa rappresentò Riva e quel Cagliari che fece inginocchiare le grandi del Nord per voi sardi?
"Fu la prima manifestazione positiva della mia terra al di fuori della mia terra, quindi in tutto il Paese. Dopo i fanti sardi che andarono a combattere e morire sul Carso per riunificare la nazione, c’è stato lo scudetto del Cagliari. Il secondo step".
Si può dire che c’è un filo rosso che lega Emilio Lussu, che andò a combattere sull’altipiano di Asiago, e Gigi Riva nel raccontare l’identità sarda?
"Sono a loro modo due eroi, anche nel senso letterario del termine. E chiuderei la triangolazione con Fabrizio De André: due hanno scelto di diventare sardi, uno (Lussu, ndr ) lo era di nascita. De André arrivò perfino quasi a giustificare il suo sequestro. Lussu è un sardo primario di cui i politici dovrebbero tenere conto per l’esempio che ha dato, ma invece non ne tengono mai conto".
Restiamo a quel 1970: che Sardegna era quella e, soprattutto, come si viveva in Barbagia?
"Ero un bambino in una terra dove c’erano le leggi speciali, i baschi blu che venivano paracadutati nelle case, c’erano le perquisizioni e venivi buttato giù dal letto anche alle tre di notte. La Sardegna era considerata la regione del banditismo e dell’Anonima Sequestri. Nel mio paese quando andavi a scuola vedevi attaccate ai pali della luce le taglie come nel Far West. Gigi Riva con i suoi gol e il Cagliari con lo scudetto hanno contribuito a dare un’immagine diversa della mia regione. E l’apoteosi di questo eroe magnifico, che è appena mancato, mi fa ritornare in mente quegli anni".
Nella radiocronaca di Sandro Ciotti di quello storico giorno, a un certo punto dice che sono stati arrestati due latitanti che volevano gli autografi dei calciatori del Cagliari, ma che erano riusciti a ottenere solo quelli di Martiradonna e Cera. “Per quello di Riva – aggiunge Ciotti sempre in diretta – dovranno aspettare quando avranno scontato gli anni di carcere”.
"Riva era un uomo straordinario per i sardi. In grado davvero di unire tutta l’isola. Aveva scelto di essere uno di loro, uno di noi. E questo la gente l’aveva capito".
Con De André s’incontrarono una sola volta e finirono per scambiarsi maglietta e chitarra dopo aver discusso a lungo di ’Preghiera in gennaio’. E questo forse dà anche la dimensione di quanto fosse diverso Riva rispetto al prototipo del calciatore attuale e anche di quelli della sua leva.
"Con Riva se ne va anche un certo calcio, dove gli atleti erano uomini, erano pensanti, non erano macchine cibernetiche, non erano adolescenti miliardari, erano nel mondo, avevano opinioni. Tutto completamente diverso dal calcio odierno. Il suo essere eroe l’ha dimostrato, rimanendo in questo mondo, esercitando però discrezione, rigore e silenzi. Riva non c’entra nulla con la finale della Supercoppa in Arabia, in cui lo sport diventa questione finanziaria, in un Paese dove non si rispettano i diritti. E dove l’altra sera hanno fischiato al momento del minuto di raccoglimento per lui".
Sui diritti nel senso più ampio c’è una foto in bianco e nero in cui Gigi Riva è esattamente in mezzo ai minatori del Sulcis. Non certo una photo opportunity.
"Ha espresso pareri, anche scomodi, sulle condizioni di lavoro nelle miniere, sulla questione delle quote latte, quando la crisi della pastorizia era diventata oggetto di campagna elettorale. Lui era così".