Giovedì 26 Dicembre 2024
DORIANO RABOTTI
Calcio

La scelta di Gotti, che non vuole essere re

Promosso allenatore nell’Udinese in serie A. Ma fa resistenza: resterò il vice. "È quello il mio ruolo, da capo mi è andata male"

Luca Gotti (Ansa)

Udine, 13 novembre 2019 - Più Bartleby che Vasco Rossi. Anche per questione di cultura personale, sicuramente superiore alla media: come lo scrivano di Melville, che conosce bene, anche Luca Gotti ’preferisce di no’. È la risposta che sta continuando a dare all’Udinese, la società di serie A per la quale lavora: i dirigenti vogliono farlo diventare il numero uno, lui non ci sente perché preferisce una vita da mediano, o meglio da vice. "A me va bene avere il tempo per la pizza con gli amici", ha detto qualche giorno fa a chi continua a non credere che si possa rifiutare un ruolo per il quale tutti gli altri allenatori d’Italia, quelli col patentino almeno, venderebbero un parente.

E invece in modo educato, ma ostinato quanto il copista del papà di Moby Dick, il 52enne di Adria, Rovigo, con una discreta carriera da centrocampista alle spalle, tiene duro sulla sua posizione: sa che tutti smanierebbero per fare il grande salto, ma non lui. "Fare il capo allenatore sarebbe un piacere, ma non reputo che sia la direzione giusta. La verità è che la mia intenzione sarebbe di non andare da nessuna altra parte, spero di rimanere dentro lo stesso spogliatoio, ma con il ruolo che mi compete. Non è che sparisco, chiaramente i rapporti tra i giocatori e il primo allenatore sono diversi da quelli con un collaboratore che vive lo spogliatoio da vice. Non ho intenzione di andare altrove". Lui vuole tornare al ruolo che aveva fino al primo novembre, quando l’Udinese esonerò il primo allenatore Igor Tudor e promosse il suo secondo alla guida: "Ma io sono un collaboratore tecnico, è un altro lavoro. Cerco di essere il miglior vice possibile. Non ho altre ambizioni". Solo che il numero due ha ottenuto risultati migliori di chi lo ha preceduto: due punti a partita, quattro contro Genoa e Spal. Nel frattempo, in teoria l’Udinese cerca un nuovo mister, in pratica sta scartando tutti i candidati e l’altro ieri ha ‘strappato’ a Gotti la disponibilità ad andare ancora in panchina domenica 24 di nuovo a Genova, stavolta in casa della Sampdoria.

Sarà l’ultima? Fosse solo per lui, sicuramente sì. Perché la scelta di continuare nel ruolo che ricopre ormai dal 2010 è più morale che professionale. O forse emotiva, per certi versi: "Il vero spartiacque del mio percorso fu il periodo alla Triestina in serie B", ha raccontato. Era il 2009, fu esonerato dopo otto partite e la cosa gli fece capire che la vita da precario della panchina non faceva per lui: "Non nascondo che in quel periodo il pensiero di dire basta mi è anche passato per la testa. Poi ho ritrovato lo slancio e la voglia di ripartire in un ruolo che mi gratifica tantissimo".

Al punto da essere diventato quasi una missione: da allora è stato il vice dell’ex ct azzurro Roberto Donadoni sulle panchine di Cagliari, Parma e Bologna, l’anno scorso era al Chelsea con Maurizio Sarri. Sperava che lo portasse alla Juve, ma è finito a Udine in extremis perché il tecnico toscano ha scelto Martusciello, un altro con la vocazione del vice per sempre.

Per qualcuno è una questione di pressione, semplicemente non riescono a reggere l’incarico più importante. Nel caso di Gotti, la storia è molto diversa. Come diverso e fuori dagli schemi del calcio è il personaggio, e non solo perché legge i classici.

Cucirgli addosso l’abito dello stereotipo è una missione impossibile da sempre. Gli starebbe stretto perché per natura è uno che preferisce stare nella buca del suggeritore, lasciando agli altri la luce dei riflettori. Studioso di calcio in modo più scientifico che ossessivo, capace di accorgersi che fuori dal campo c’è un mondo che ha anche altri valori, a Bologna durante un corso per allenatori si lasciò distrarre dal panorama. Doveva spiegare i movimenti del centrocampo, ma dalla finestra del centro tecnico si vedeva la basilica di San Luca illuminata dalla luna e lui finì la lezione facendo studiare quello, ai suoi allievi, altro che lavagne e schemi disegnati con i magneti.  In quel momento lo ribattezzarono professor Keating, come quello dell’Attimo fuggente. Vuoi che uno così sia pronto a cambiare la sua vita solo per una panchina di serie A?