Era il 10 febbraio 2013 quando sui campi da calcio di tutta Italia comparve la scritta ‘Imbriani non mollare’. Era il giorno del compleanno di Carmelo Imbriani, ex centrocampista di Napoli e Benevento e allenatore dei giallorossi, e da lì a 5 giorni la vita del 37enne, padre di un bambino di 2 anni e di uno appena nato, sarebbe stata stroncata da un linfoma di Hodgkin. Da quel giorno il fratello Gianpaolo tiene vivo un pezzo di Carmelo 'portandolo con sé' in un lunghissimo viaggio intorno al mondo. Oggi, giorno della festa del papà, è anche la sua di festa.
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Bologna, 19 marzo 2023 - Ci sono persone morte che sono più vive di chi ha un cuore che batte. Quelle persone esistono nel ricordo di chi le accompagnerà per tutta la propria, di vita. Che sia solo dentro di sé, nelle preghiere, nelle storie o nelle azioni.
Gianpaolo, per 12 volte il giro del mondo. Perché da quel dolorosissimo giorno non si è più fermato? "Il viaggio è nato perché dopo aver perso mio fratello ho iniziato a vagare per evadere da quella maledetta stanza d’ospedale. Ho stampato un’immagine di mio fratello e a chi incontravo raccontavo di lui, era un modo per averlo vicino a me e nello stesso tempo nel mondo".
Insieme al sogno di intitolare a suo fratello uno stadio per ogni continente… "Sì, vorrei riuscire a raggiungere 5 campi da calcio, uno per ogni continente, per unire la passione di mio fratello per il calcio a quella del viaggio. Al momento ce ne sono due, uno a Benevento grazie al Benevento calcio e uno in Tanzania, costruito in un anno grazie all’aiuto di alcuni missionari che hanno sposato il progetto finanziato dalla Cei. Ora cerco di realizzarlo in Argentina dove ho promosso il libro ‘Storia di una promessa’ e dove ho conosciuto una fondazione che mi aiuta".
E cosa fa per vivere? "Viaggio quasi sempre in autostop e chiedo ospitalità quindi le mie spese sono pochissime. Ma per qualche mese all’anno faccio il cameriere e se devo prendere un aereo lo pago così".
Qual è alla fine di tutto l’obiettivo di quello che fa da dieci anni a oggi? "L’obiettivo è che i miei nipoti, i figli di Carmelo di 10 e 12 anni, possano vedere il loro papà un po’ ovunque e possano crescere insieme a lui. Attraverso le foto che scatto o le foto di mio fratello che mostro alle persone, le magliette con il suo viso o l’adesivo che la gente attacca sulle porte, e attraverso i campi di calcio intitolati a lui, lo faccio vivere dentro di me e nel mondo".
Quanto è accesa questa fiamma dopo 10 anni? "Tantissimo, ogni volta che ho fatto l’autostop nei miei 700mila km di viaggio sono salito in auto e raccontato il motivo per cui mi trovavo lì. Ho parlato di Carmelo anche attraverso dei video che raccontano di lui. Il primo di questi mostra momenti molto forti, come l’ultimo giro intorno al campo dentro una bara e quando, nell’ultimo periodo della malattia, tante tifoserie sono scese in campo per sostenerlo. Mi piace ricordare questi momenti ma il carico emotivo è fortissimo".
Finirà mai questo lungo viaggio? "Non credo. Per ora faccio fatica a fermarmi".