No, non è vero che l'Arabia Saudita non abbia rubato nulla, resistendo, sorpassando, costruendo un muro con il cemento dell'eroismo pallonaro e tenendolo su, pur con qualche crepa, fino al 15esimo minuto di recupero. No, non è vero. Se da una parte la squadra del coach playboy Renard ha scritto l'ennesima pagina che mai avremmo immaginato, noi, come il più ottimista dei tifosi sauditi, dall'altra ha rubato eccome. E non perché alla fine, l'Argentina abbia creato e segnato e segnato ancora senza mai riuscire ad aggirare la millimetrica e spietata trappola del Var. E neanche perché due prodezze due, una delle quali col piede sbagliato – il gol in diagonale di Al-Shehri – e l'altra all'apice del talento di Al-Dossari - uno dal piede educatissimo ma vatti a immaginare quel gol pazzesco – hanno inchiodato l'Albiceleste, seconda grande favorita del torneo dietro al Brasile. E nemmeno perché cinque minuti di follia difensiva degli argentini, rientrati in campo nella ripresa come una banda di turisti al termine di una gita, abbiano confezionato l'incubo. No, non è per questo.
I piccoli grandi eroi sauditi, hanno saccheggiato il tempio del dio del pallone. Hanno rubato un pezzo del sogno di Leo Messi. Sì, Leo, al quinto tentativo mondiale per quella che, nel marzo del 2018, all'alba del mondiale russo, definì "un'ossessione, un chiodo fisso". E cioè essere finalmente, definitivamente, all'altezza di Diego, facendo quello che ha fatto Diego: vincere un Mondiale. Il popolo dei romantici del pallone, compreso chi scrive, tifa per lui, per Leo.
Un ragazzo diventato uomo e ora 35enne che sa ancora custodire un sogno da fanciullo e che sa farsi amare a prescindere da maglia e bandiera. Un 'Diez' che insegue il Diez della leggenda, Maradona, la sua luce, fonte di ispirazione e modello da imitare. Leo che vince il Mondiale, piange, alza la Coppa quanto sarebbe bello? Quanta pelle d'oca e quante lacrime da versare, anche per noi che siamo orfani in questo Mondiale? E invece no, riecco l'ossessione, stavolta in maglia verde come lo era stata quella del Camerun a Italia90, quando Francois Omam-Biyik la mise alle spalle di Nery Pumpido. Quel Camerun segnò quando era in dieci e la finì in nove. E l'Argentina finì ko ma alla fine giocò una finale persa con la Germania che doveva essere nostra, ricorderete no?
Il Camerun però scrisse una pagina da leggenda assai più profonda di questa, perché oggi il calcio è cambiato, i testa-coda delle big non sono più una rarità e il pallone africano non è certo quello di 30 anni fa. E allora rieccola l'ossessione con il numero 10 sulle spalle. No, non il Diez di Leo Messi. E neanche quello di Diego. No, è il 10 di Salem Al-Dossari, talentuoso eroe saudita che ha rubato il sogno di Leo e quel motto che lo accompagna da sempre: “Impossible is nothing”. Niente è impossibile.