Roma, 25 ottobre 2020 - Giro d'Italia, ecco i voti di Angelo Costa.
10 al Giro
Inteso come organizzazione: arrivare a Milano superando difficoltà previste (Covid, maltempo) e impreviste (incidenti, scioperi) è il vero successo di questa edizione. Regge bene l’urto del virus (4 corridori contagiati, più una decina di persone fra i vari staff), mantenendo la promessa di portare in Giro per l’Italia un evento sicuro.
10 a Geoghegan Hart
Prende la rincorsa da lontano, perchè nel giorno dell’addio di Thomas ci rimette un paio di minuti per una foratura ai piedi dell’Etna, poi non sbaglia più un colpo. E’ bravo a cronometro, è bravissimo in salita, è bravo soprattutto ad accettare la responsabilità di far classifica quando la squadra glielo chiede, mettendosi a sua disposizione.
10 alla Ineos
Vince l’undicesimo grande giro in un decennio nel modo che nemmeno immaginava, conquistando sette tappe e il Giro con un nuovo capitano dopo aver perso subito quello designato. C’era una volta lo squadrone che tutti pensavano vincesse perché pagava più degli altri: adesso che un team che, mettendo in campo serietà e buone strategie, è un piacere veder vincere.
9 a Hindley
Anche lui promosso sul campo, sfiora una vittoria che avrebbe potuto conquistare: non certo a cronometro, ma con una diversa strategia da parte dell’ammiraglia, che a Piancavallo non capisce su quale cavallo puntare. E’ decisamente il più forte in salita, ma pecca anche lui nella tappa dello Stelvio, quando si accontenta di battere Geoghegan allo sprint anziché attaccarlo prima.
9 a Ganna
Domina tutte le crono, si prende la tappa della Sila attaccando da lontano: quattro vittorie di tappa spiegano abbastanza che razza di Giro abbia fatto da debuttante. Ma non dicono ancora tutto su un ragazzo che potrebbe non limitarsi ad essere soltanto il campionissimo delle crono, provando a diventare un campione molto vicino ad Indurain.
9 a Dennis
Fra Tirreno, Mondiale e Giro, perde cinque crono dal compagno Ganna, degno suo erede. Dev’essere per questo che cambia mestiere e soprattutto terreno, inventandosi il ruolo di apripista di montagna: è grazie al suo folle ritmo su Stelvio e Sestriere che Geoghegan e la squadra riescono in un’impresa che la caduta di Thomas sembrava aver già fatto svanire.
8 ad Almeida
Finisce in testa al Giro quasi a sua insaputa, ma ci resta con un’autorità e una lucidità perfino esagerati per i suoi 22 anni: non fosse così, non metterebbe nel cassetto quindici maglie, roba da Merckx. Scende dal trono sullo Stelvio, si batte sempre con coraggio e carattere: da questo Giro non esce una meteora, ma un corridore che farà parlare di sé.
8 a Demare
Quattro sprint, quattro vittorie: non è il più forte velocista in Giro, ma è l’unico. Non è colpa sua se la concorrenza è limitata, ma ognuno mangia il piatto che gli viene offerto. Lui addirittura li divora, scortato da una squadra perfetta nella sincronia, con un apripista come Guarnieri (voto 9) che in un arrivo a ranghi compatti è decisamente un valore aggiunto.
7 a Sagan
In un Giro anomalo per le condizioni e per la stagione in cui si corre, è il meno anomalo di tutti. Insegue la vittoria per una settimana, negli sprint piatti e in quelli in salita, piazzandosi regolarmente, infine la ottiene a modo suo, facendo spettacolo, come più gli piace: chi pensava che venisse in Italia a fare una vacanza, evidentemente non lo conosce abbastanza.
6 a Kelderman
Due giorni in rosa e il primo podio in un grande giro sono un risultatone per uno che in carriera non aveva raccolto un gran che. Si illude di poter anche conquistare la corsa, anche se non lascia mai una traccia: uno scattino sull’Etna, niente di più. Dopo due settimane dà l’impressione di essere in calo, peccato che non se ne accorga chi è in ammiraglia.
5 a Nibali
Per uno che si è presentato fra i favoriti e ha perso subito i due rivali principali Thomas e Kruijswijk, non avvicinarsi mai al podio è una delusione. Di fronte ad un risultato che non lo soddisfa, esce però a testa alta, ammettendo di essersi a giovani che vanno più forte: anche quando c’è da congedarsi dalla corsa, lo fa da campione.
4 a Viviani
Cerca sulle strade rosa ciò che non è riuscito a trovare al Tour, ma il risultato è identico: in ogni sprint, di lui non c’è traccia. E’ un anno storto, come è capitato a tanti, e di tempo per raddrizzarlo non ce n’è stato abbastanza. Troppo brutto Elia per sembrare vero, non gli resta che resettare tutto e ripartire: quelli come lui possono sbagliare una volta, due no.
3 alla maglia rosa
Intesa come simbolo della corsa. Non quella che si è consegnata per quindici giorni ad uno dei talenti emergenti del ciclismo, ma quella diventata suo malgrado un obiettivo del Covid: i tre spediti a casa dal virus con Gaviria (Simon Yates, Matthews e Kruijswijk), l’avevano tutti indossata, segno che in una corsa non c’è più rispetto nemmeno per la nobiltà.
2 all’Italia
Quattro tappe con Ganna, due con Ulissi: il bottino azzurro è tutto qui. I dolori sono in classifica, dove non c’è un italiano nei primi cinque: Nibali, il migliore dei nostri a quasi 36 anni, è settimo, Masnada nono. Non era mai successo nelle 102 edizioni precedenti: nella storia si può entrare in tanti modi, anche dal retro.
1 ai team stranieri
C’è la Ineos, un esempio. Ma ci sono anche squadre che vengono al Giro per dovere, non per piacere, e lo dimostrano. Non sono combattive, corrono in modo confusionario e svogliato, quasi aspettassero l’ora di tornare a casa. Alcune addirittura lo fanno: la Jumbo fa le valigie col pretesto del virus, come se ne avesse scoperto l’esistenza solo in Italia.
0 ai corridori
Il giorno dopo lo Stelvio impongono il taglio di una tappa lunga, protestando per un po’ di pioggia. Adam Hansen viene messo sotto accusa per aver fomentato il gruppo, ma sono peggio quelli che lo seguono: davanti ad una scelta immotivata, sarebbe stato meglio usare la propria testa. Così come sarebbe stato meglio vedere gli italiani difendere il Giro da uno sfregio.