Roma, 20 dicembre 2010 - Sei anni di prigione e l'interdizione a realizzare il film o a lasciare il paese per i prossimi venti anni. E' questa la condanna infitta al cineasta iraniano Jafar Panahi, secondo quanto annunciato oggi dal suo avvocato Farideh Gheirat.
"Panahi è stato condannato a sei anni di prigione per la partecipazione a raduni e per propaganda contro il regime", ha affermato il suo avvocato Farideh Gheirat, riporta l’agenzia di stampa Isna. "E’ stato poi colpito dall’interdizione di realizzare film, scrivere sceneggiature, di viaggiare all’estero e di rilasciare interviste a media locali o stranieri per i prossimi venti anni", ha precisato ancora l’avvocato che comunque si riserva di di fare appello.
Un altro giovane regista, Mohammad Rasoulof, che stava lavorando a un film con Panahi prima del suo arresto, è stato condannato a sei anni di prigione con accuse simili, secondo quanto ha riferito il suo avvocato Iman Mirzadeh all’agenzia.
CHI E' PANAHI - Il cineasta iraniano si è affermato in Europa con un primo lungometraggio nel 1995, 'Il palloncino bianco'. Nel 1997 ha vinto il Pardo d’Oro a Locarno con il film 'Lo Specchio', apologo sulla difficile condizione femminile in Iran. Stesso tema affrontato con 'Il Cerchio' che gli è valso, nel 2000, il Leone d’Oro a Venezia. Nel 2003 a Cannes ha ricevuto il premio nella sezione ‘Un certain regard’ con il film 'L’Oro rosso', ‘noir’ la cui diffusione è stata proibita in Iran.
Il regista Leone d’Oro aveva definito "una sciocchezza" le accuse rivoltegli dal regime, che oggi infligge un colpo durissimo all’opposizione sociale iraniana e riporta alla memoria i provvedimenti sovietici contro lo scrittore Aleksandr Soljenitsin. In una dichiarazione rilasciata il mese scorso e resa nota nel corso delle 'Giornate degli Autori - Venice Days', un evento a margine del festival del Cinema di Venezia, il regista aveva spiegato di aver cominciato a girare un film sulle proteste anti-Ahmadinejad dopo aver subito l’irruzione delle polizia iraniana nella propria abitazione e la confisca della propria collezione di film, considerata "oscena" dalla magistratura.
SGOMENTO - Alla notizia della condanna si è immediatamente mobilitato il mondo del cinema francese. Thierry Frémaux, a capo del festival di Cannes, si è detto pronto a mettere in piedi un comitato per sostenere un regista considerato, ha detto, "scomodo" dal regime iraniano. È inammissibile, ha aggiunto, che "realizzare un film" possa condurre una persona in carcere. Per il rilascio di Panahi si muovono anche il direttore della Cineteca francese, Serge Toubiana, e il presidente della stessa, Costa-Gavras, il regista Bertrand Tavernier e il filosofo Bernard-Henri Levy, già impegnato nella campagna per la liberazione di Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio.
Il cinema italiano, invece, non ha ancora fatto sentire la propria voce. A esso si è rivolto il portavoce di Articolo 21, Giuseppe Giulietti: "Il mondo del cinema che si è già mobilitato in favore del regista iraniano Jafar Panahi riprenda l’iniziativa per chiedere che la sentenza sia revocata". Duro il commento sul sito di Articolo21 del giornalista iraniano Ahmad Rafat: "È una sentenza che lascia senza parole. La carriera cinematografica di Jafar Panahi, se sarà confermata la condanna, si è conclusa".
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