dall’inviata
Nel giorno in cui si celebra il vino italiano, all’inaugurazione del Vinitaly di Verona, ci si chiede che Paese sarebbe senza questo tassello chiave dell’economia, ma anche tratto identitario e baluardo ambientale. Vedendo il bicchiere mezzo vuoto, l’Italia perderebbe l’1,1% del Pil. Quanto il calcio più o meno (lo sport vale circa l’1,3%). Sarebbe un Paese, in definitiva, più povero. L’indagine, condotta da Prometeia, è stata presentata da Veronafiere con l’Osservario Uiv-Vinitaly è anche una risposta agli attacchi rivolti alla ’bevanda nazionale’. Battaglia che il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida porta avanti con convinzione, come ribadito anche ieri al taglio del nastro della kermesse – brevemente interrotto da alcune attiviste per la legalizzazione della cannabis – con una corposa rappresentanza del Governo, a partire dal vicepremier Antonio Tajani (la crisi fra Israele e Iran ha aleggiato dall’inizio) fino ai titolari della Cultura Gennaro Sangiuliano, di Imprese e Made In Italy, Adolfo Urso, della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, assieme al presidente della Camera, Lorenzo Fontana. E mentre oggi è attesa invece la premier Giorgia Meloni nella giornata del Made in Italy, ieri si è ricordato come "Il vino italiano vale più di 8 miliardi di export", ha detto Lollobrigida, presente poi nello spazio Masaf alla presentazione dell’indagine ‘Se tu togli il vino all’Italia. Un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto’, assieme ai vertici di Veronafiere, il presidente Federico Bricolo e l’ad Maurizio Danese.
Senza la filiera del vino, 303mila persone sarebbero senza lavoro e il Paese rinuncerebbe a un asset in grado di generare tra impatto diretto, indiretto e indotto una produzione annua di 45,2 miliardi e un valore aggiunto di 17,4 miliardi. Senza il prezioso nettare, il saldo commerciale del settore agroalimentare scenderebbe del 58,8% (da +12,3 a 5,1 miliardi). Lo studio ha poi ristretto l’obiettivo su tre luoghi simbolo: Barolo, Etna e Montalcino dove il contributo nei territori vale fino a dieci volte il valore della bottiglia. E se nel borgo toscano un ettaro vitato di Brunello vale quasi 8 volte a un appezzamento in altre zone della Toscana (1 milione contro 129mila euro) e a Barolo il reddito pro-capite medio è cresciuto del 23%, a stupire è l’Etna, dove una viticultura di montagna, con difficili coltivazioni ad alberello, oggi porta a valori fondiari 5 volte superiori alla media regionale, con un aumento del 70% delle superfici vitate negli ultimi 10 anni e un grande ritorno di giovani produttori.
Dati che si intrecciano con quelli diffusi sempre ieri dall’associazione Città del vino sull’enoturismo: un comparto che oggi vale 2,9 miliardi (+16% sul 2023). Nel dettaglio, la spesa media del turista del vino arriva fino a 400 euro, l’86% dei winelovers vengono dall’estero, anche se il 76% delle aziende manca ancora di addetti. Un volano per i territori, dunque che va difeso da attacchi come quelli che, dopo l’Irlanda, ora arrivano da Belgio. "Il libero scambio sancito dall’Ue – ha insistito Lollobrigida – non può essere violato da nazioni che non avendo una produzione caratterizzante nelle propria economia scelgono di usare etichette che stigmatizzano i prodotti a loro vantaggio".
Una produzione che nel nostro Paese ha una storia antica. Proprio ieri il presidente di Veronafiere, Bricolo, ha consegnato il premio ‘100 anni di Eccellenza’ al più vecchio consorzio italiano, quello del Chianti Classico, che festeggia un secolo di vita.