Una regione piccola, ma ricca di gemme, giovane dal punto della maturità enologica, ma antichissima per tradizione vinicola. È il Molise, regione che ormai si è affermata come produttrice di vini di grande qualità, di superficie ridotta - intorno agli 8500 ettari vitati – ma per molti versi ancora da scoprire. Ne abbiamo parlato con Carla Iorio, delegata regionale dell’Onav, l’organizzazione nazionale assaggiatori di vino, impegnata sulla formazione e la diffusione della cultura enologica.
Come si presenta il panorama enologico del Molise?
"I vigneti sono presenti da tempi antichissimi, ma nella regione il consumo è sempre stato personale: ogni contadino aveva il suo vigneto per il consumo famigliare. Questo fino a 30-40 anni fa. La viticoltura era soprattutto concentrata all’interno, in altipiani che vanno da 400 a 700-800 metri, ma fra anni ’80-’80 c’è stata un’espansione nel basso Molise, con vigneti che si sono stabilizzati intorno ai 200-250 metri o anche più in basso. Oggi la produzione nell’entroterra è focalizzata soprattutto sulla Tintilia, il disciplinare lo prevede sopra i 200 metri e questo sta riportando la produzione vitivinicola nelle zone storiche".
Ci parla di questo autoctono così particolare?
"È l’unico autoctono della nostra regione, ma oggi preferiamo parlare di vitigni storici, infatti è di provenienza iberica, probabilmente arrivò all’inizio del ’700 attraverso i Borboni. È un vitigno vigoroso e resistente che ben si adatta ai territori medio-alti e ha radici che scendono molto in profondità. L’acino è piccolo, pruinoso e la resa bassissima, circa 50 quintali per ettaro. Una caratteristica è che il vino si ossida facilmente e quindi la colorazione tende a passare dal violaceo al mattone come se fosse un vino molto invecchiato. In realtà non è un vino da invecchiamento lunghissimo, ritengo che l’ideale sia intorno ai 4-5 anni".
Come si presenta il vino da Tintilia?
"Al naso profumi di piccoli frutti neri, soprattutto nei territori più alti che scendendo verso la costa diventano di frutta rossa. C’è una speziatura e note che diventano presto terziarie".
Qualche abbinamento?
"Senza dubbio piatti a base di carne, i nostri pecorini stagionati. Invece per le tintilie prodotte a bassa quota, intorno ai 200 metri e per le versioni in rosato, anche un brodetto di pesce alla termolese, zuppe di legumi, fagioli e ceci o la famosa pizza e minestra, una zuppa di verdure campestri, lessate insieme a piccoli pezzi di cotenne, musetto di maiale, alle quali va aggiunta un pizza di mais senza lievito, sbriciolata e amalgamata".
È un vino che ha giocato un ruolo importante per il Molise.
"È stato il cavallo di battaglia, che ci ha permesso di venire fuori, la curiosità è il leit motiv dell’enologia e del consumo dei winelover. Fra gli anni ’70 e ’90 era stato quasi completamente abbandonato e mentre si cercava di emergere dall’anonimato si puntava su vitigni internazionali. All’inizio degli anni duemila, grazie a studi dell’Università del Molise e all’impegno di alcuni produttori si è deciso di scommettere su questo vitigno. Però il Molise non è solo Tintilia!"
Allarghiamo il panorama.
"Ci sono bianchi legati alla nostra tradizione sannitica, soprattutto Falanghina e Fiano e considerando che siamo vicini all’Abruzzo anche il Trebbiano e la Malvasia nella denominazione Biferno, vicino alla costa. La Falanghina però è molto diversa da quella campana, più ricca in sapidità e meno in acidità. Una tendenza di tutti i nostri bianchi che hanno una maggiore morbidezza. Al naso abbiamo fiori gialli, ginestra, frutta a polpa bianca. C’è poi il moscato che si sta esprimendo molto bene sulla fascia costiera, ideale per aperitivi e pesci bianchi e ci sono anche aziende che puntano sul Sauvignon bianco che qui assume una particolare rotondità".
E poi ci sono i rossi.
"L’Aglianico e il Montepulciano, in particolare. Qui però è diverso rispetto a quello abruzzese, Se pensiamo poi alla Doc Pentro rosso abbiamo un blend di Tintilia e Montepulciano".
Patrick Colgan