"Per far percepire l’identità del vino romagnolo va fatto percepire anche il territorio. Il mare è conosciuto, ma abbiamo un entroterra bellissimo e sostanzialmente intatto, fra colline, borghi". È la convinzione di Ruenza Santandrea, faentina, presidente del Consorzio Vini di Romagna che ha trasformato questa idea in uno dei cardini della sua azione dedicata al territorio che da Imola, a est di Bologna, va verso il mare e comprende anche le province di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini.
Santandrea, come va la ripresa dopo la pandemia?
"È stato un periodo davvero difficile. C’è stata una crescita, ma ancora non è abbastanza".
La Romagna è spesso stata percepita come terra di rossi, ma in realtà si sta lavorando molto anche sui bianchi.
"A noi piace parlare della ’Romagna che non ti aspetti’. E c’è anche una Romagna del bianco che non ci si aspetta. Dallo spumante all’albana, al trebbiano. E si sta lavorando benissimo pure sui rossi".
In che modo?
"Innanzitutto credo ci sia una problematica psicologica legata ai rossi. Veniamo da anni di rossi molto strutturati, con tanto legno. E da qualche tempo c’è stata un’inversione di tendenza che la Romagna sta cogliendo al meglio. Ci sono produttori che interpretano il sangiovese in purezza con poco o nessun legno ed esprimono bene il carattere del territorio. Sono state individuate 16 sottozone del Sangiovese di Romagna che danno vita a vini riconoscibili, di grande bevibilità e che esprimono freschezza e mineralità che si adattano molto bene a una cucina moderna. C’è bisogno di raccontare questi cambiamenti".
E sui bianchi?
"Si continua a lavorare molto bene sull’albana. Vitigno difficilissimo da vinificare, un bianco che ha caratteristiche da rosso e non a caso è stata la prima Docg italiana. I produttori sono diventati bravissimi a lavorarla, anche in modi meno tradizionali, come l’anfora. Per questo quando organizziamo degustazioni per i giornalisti ci dicono che con l’albana non ci si annoia mai. E poi ci sono proposte interessanti anche sul trebbiano".
Conoscenza dei vini e del territorio sono legati, ha detto, in che modo li avete promossi?
"Noi abbiamo puntato moltissimo sul territorio. Abbiamo creato un sito, ‘cartoline dalla Romagna che è anche un magazine con percorsi. E pubblicato il libro ’Mosaico di vita’. Crediamo fortemente che per far percepire il vino romagnolo vada percepito il territorio. Si conosce il mare, ma molto meno l’entroterra, intatto e diversissimo. Fatto di boschi, colline, borghi. Rispetto al francese terroir qui mi piace di più parlare di genius loci, che si può percepire viaggiando sul territorio. E così vengono messi in luce anche gli aspetti che distinguono nettamente anche l’Emilia e la Romagna, unite anche da quel trattino che è la via Emilia, ma diversissime per tanti aspetti e anche dal punto di vista della viticoltura".
Quali altre attività ha messo in campo il consorzio?
"Tra le aziende non socie c’è stato un calo dell’imbottigliamento, mentre c’è stata una crescita fra i soci. Mi fa piacere sottolinearlo perché mette in luce il nostro impegno. Negli ultimi due anni abbiamo promosso vari incontri fra ristoratori e albergatori e produttori, coinvolto i giornalisti. E ci è piaciuto legarlo a qualcosa di identitario per noi romagnoli, i motori, tenendoli al circuito di Misano e all’autodromo di Imola. Abbiamo legato i vini al nostro territorio e alla nostra passione".
Patrick Colgan