Confermato per un nuovo mandato quadriennale al timone di Confartigianato Imprese Lombardia, imprenditore “pancia a terra“ nel quotidiano, Eugenio Massetti conosce vita, morte e miracoli dell’ossatura economica d’Italia, le piccole e medie imprese. E per questo avvisa: "Serve la politica. Serve una visione – incalza –. La vicenda Fiat dovrebbe aver insegnato qualcosa: inutile scrivere le regole a supporto di 3-4 grandi industrie che ci sono rimaste. Bisogna prendere atto della realtà: l’Italia è fatta da Pmi. E allora, la politica le supporti. Ma davvero".
Presidente, anche nel 2025 si prevede una crescita al lumicino. Quale soluzione per svoltare?
"Da imprenditore, vivo come i miei colleghi l’inizio d’anno con un filo di tensione, di attesa e vigilanza per vedere se funzionano i progetti e gli investimenti della seconda parte del 2024. Prevedo comunque un 2025 a rilento, già l’anno scorso la produzione industriale ha registrato un calo. E non si vede all’orizzonte una ripresa della Germania, in difficoltà sull’automotive e non solo. Tanto che è il primo anno, negli ultimi 40, in cui si registra un calo dei turisti tedeschi sul Garda, e più in generale al Nord. Per fortuna il calo è stato compensato dagli americani. Ma questo dà un’idea del momento della Germania, del pessimismo dei tedeschi".
E il resto del mondo?
"Speriamo che Trump non mantenga la promessa di imporre dazi. Complicherebbe per l’Italia una situazione già difficile, visto che siamo tra i più penalizzati dalla crisi dell’automotive tedesco. Il sistema Europa è penalizzato dall’elettrico, perché noi abbiamo il carico e l’onore del passato: sistemi di produzioni vetusti, persone da mandare in pensione, operai da formare. La Cina è partita da zero. E ha creato gigante dell’automotive a partire da un’App. Il quadro è questo: se l’Italia non si sveglia, non rischia solo di andare a rimorchio di Usa e Cina che hanno in mondo in mano, ma anche di Paesi in crescita come India, Indonesia, Pakistan, giganti demografici che cresceranno ancora...".
Una luce, in tante ombre?
"Il turismo, che registra buoni numeri, tanto che sarà sempre più centrale nel sistema economico. Questo fronte ci fa ben sperare...".
Il punto sul Pnrr in Lombardia. I fondi sono stati utilizzati bene finora o ci sono lacune nella messa a terra dei progetti?
"Siamo indietro a causa dei nostri problemi cronici: la burocrazia e le lacune nella preparazione tecnica dei Comuni, soprattutto piccoli. Dal Pnrr ci aspettavamo valanghe di lavori, soprattutto nell’edilizia. Purtroppo, non è andata così. Il sistema è un cane che si morde la coda: per avere i fondi i Comuni dovrebbero avere tecnici capaci di preparare progetti; per acquisire una professionalità le Pubbliche amministrazioni devono pubblicare un bando e attendere mesi; spesso neppure trovano il personale, perché con gli stipendi offerti non c’è certo la coda, ma i nostri giovani più preparati preferiscono andare all’estero. Risultato: il Pnrr sta dando risultati deludenti, il Paese sta morendo spinto giù dai vecchi vizi, burocrazia e carenze nelle Pubbliche amministrazioni".
A proposito: come sciogliere l’eterno nodo italiano della burocrazia?
"Spero che l’avvento dell’Intelligenza artificiale la abbatta. E sono fiducioso. Troppo spesso le persone vedono l’IA come una cosa che non li riguarda, che devono usare solo gli altri. Presto ci accorgeremo che non è così, che avrà impatto dall’imprenditore alla casalinga. E se ben usata, forse abbiamo trovato l’arma letale contro la burocrazia".
Solo l’export ci può salvare?
"L’Italia in tanti campi è un’eccellenza. Ma guardiamo al lusso, ormai abbiamo ceduto a fondi stranieri buona parte dei brand del lusso e questi gestori lontani badano solo al guadagno, non certo all’economia del territorio o al ceto medio italiano. Così, se conviene, vanno altrove a produrre. È già successo, sta ancora succedendo. Manca una visione politica. Altro esempio: l’enogastronomia tanto decantata in Italia. È un’eccellenza vero, ma resta una nicchia a livello internazionale. Pensi al Grana Padano, posizionamento forte in Europa, nel mondo ha un mercato piccolo, troppo piccolo, rispetto al potenziale di questa eccellenza".
Il passaggio generazionale aiuterà?
"Tanti giovani imprenditori sono bravissimi, al passo con i tempi. Ma tante altre famiglie di imprenditori storici, alla seconda o terza generazione non ci arrivano. Gli eredi a un certo punto vendono, per godersi i risparmi. Perché? Il sistema non aiuta...resta faticoso fare impresa in Italia".
Chi ci deve pensare alla svolta?
"La politica, solo questa può incidere. Le faccio un esempio: l’Italia ha il grande vantaggio che è centrale nel commercio, sia in orizzontale tra Europa e Medio Oriente, che in verticale tra Nordafrica e Nord Europa. Ebbene, dopo gli attacchi degli houthi filo-iraniani sul Canale di Suez i nostri porti hanno perso il 40% delle merci, e quest’anno se continuano gli attacchi alle navi rischiamo un altro 20%. Chi ci sta pensando? I porti italiani restano scollegati, non si sta investendo nel sistema. Intanto, le navi arrivano cariche di prodotti cinesi e ripartono semivuote, con poche merci italiane. Questa non è globalizzazione, ma conquista. Non è equo. Di questo dovrebbe occuparsi la politica, non di terzi mandati per governatori e sindaci o di rimpasti".
Ultimo capitolo, la formazione dei giovani. Le famiglie hanno superato i preconcetti sulle scuole tecniche e professionali?
"Macché. Se quattro genitori si prendono un caffè assieme, il primo dice “mio figlio andrà al liceo“, le altre non vogliono esse da meno. Tutti al liceo. Anche se poi abbiamo ragazzi portati per il lavoro manuale che dopo il liceo, se va bene, prendono 1800 euro mentre da bravi artigiani magari ne prenderebbero il quadruplo".
Cosa fare?
"Noi, nel nostro piccolo, mandiamo i nostri giovani nelle scuole. E con la Regione abbiamo messo a punto un sistema che funziona: andiamo in giro negli istituti con un elenco delle azienda in cerca di lavoratori formati, i ragazzi scelgono dove fare lo stage. E se piace, continuano su quella strada. Così abbiamo invertito i ruoli: sono i ragazzi a scegliere l’azienda, non il contrario. E funziona".
Qual è il segreto dell’impresa resiliente?
"Che sa gettare via le vecchie abitudini e i prodotti che non funzionano più per rispondere alle esigenze di mondi e mercati nuovi. Senza sedersi mai."