A ripensarci adesso, non ci si crede. Anzitutto per ragioni tragicamente serie. E poi anche per motivi decisamente molto, molto meno importanti.
Kiev, 1 luglio 2012. Dodici anni fa. Allora la capitale della Ucraina non era un teatro di guerra. Ma il palcoscenico di una festa: l’Eurofinale del pallone, la sfida tra la Spagna campione del mondo e l’Italia del ct Prandelli, squadra rivelazione del torneo.
Oggi, non ci si crede. Kiev era bellissima, un misto fra cupe architetture di stampo sovietico e intuibili voglie di Occidente. Forse un osservatore più attento avrebbe potuto cogliere il presagio di un disastro. Ma eravamo lì per una partita di calcio. Allo stadio c’erano più di sessantamila persone. Gli ucraini sotto sotto simpatizzavano per gli Azzurri. Cioè, per i più deboli. E magari anche questo era un segnale.
Davvero, non ci si crede: anche concentrando la memoria solo sulle cose di campo, fu solo una illusione. L’Italia di Cesare Prandelli era l’Italia di Mario. Balotelli: do you remember? Con due gol bellissimi, il bomber aveva travolto la Germania nella semifinale di Varsavia. Abbiamo un nuovo Gigi Riva, ci raccontavamo tra noi.
Sì, ciao. Di quella notte e di quella Kiev nulla è rimasto. Ucraina significa Guerra e chissà quando finirà. Super Mario è finito da un pezzo: anzi, abbiamo malinconicamente scoperto che mai iniziò sul serio, la sua carriera di campione.
Della partita rammento il minimo indispensabile. Le Furie Rosse erano troppo forti. Ci sbranarono con l’eleganza del loro tiki taka, Iniesta che passa a Xavi che passa a Fabregas che passa a Xabi Alonso che passa a David Silva: insomma, non la vedemmo mai.
Già all‘intervallo erano avanti 2-0. Nella ripresa restammo in dieci per un infortunio di Thiago Motta a cambi esauriti e beccammo altri due gol.
Kiev ci consolò con un garbo che oggi è solo rimpianto di un mondo perduto.