Pisa, 30 maggio 2024 – Nicola Vitiello è professore ordinario dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e Delegato in materia di Merito e Mobilità Sociale. Originario di Napoli e ormai pontederese di adozione (a Pontedera, città della Vespa e ora dei robot, l’Istituto di Biorobotica ha la sede principale) Nicola Vitiello ha raccontato la sua esperienza accademica e lavorativa alle studentesse e agli studenti di tutta Italia, ospiti a Pisa per il primo tirocinio residenziale del percorso Me.Mo. per il 2024.
Se dovesse raccontare il Nicola studente quali espressioni userebbe e quale è stata la sua formazione?
“Ho sempre avuto passione per lo studio, potrei definirmi un ‘secchione’. Fin da bambino desideravo realizzare robot e, dunque, mi sono impegnato per fare quello che sognavo, che è quello che faccio adesso. Ho studiato ingegneria biomedica all’Università di Pisa con questa intenzione, non mi sono mai posto limiti rispetto allo studio. I miei genitori, un operaio edile diventato poi imprenditore e una bidella - o collaboratrice scolastica come si dice oggi- sono sempre stati disponibili a supportarmi moralmente ed economicamente; io ho fatto la mia parte con borse di studio ed esperienze estive di lavoro nell’industria conserviera dei pomodori. Così oggi faccio quello che mi piace, ma quanto impegno e quanta tenacia dietro”.
Come ha capito che ingegneria biomedica era la facoltà giusta, che le avrebbe permesso di realizzare i suoi desideri
“Quando ero adolescente guardavo i Cavalieri dello Zodiaco, un manga giapponese i cui protagonisti diventano supereroi grazie ad armature. Così ho sempre avuto il desiderio di sviluppare tecnologie che aumentassero le capacità delle persone. Dopo la triennale, sono entrato alla Scuola Sant’Anna e, grazie all’ingegnere Stefano Roccella, alla professoressa Maria Chiara Carrozza e al professore Paolo Dario ho iniziato a lavorare per la mia tesi agli esoscheletri”
A proposito di esoscheletri: ce li presenti, ci faccia comprendere qual è il loro utilizzo
“Gli esoscheletri sono dispositivi robotici con o senza motori che permettono alle persone di recuperare capacità motorie perdute, come nel caso di pazienti colpiti da lesioni del sistema nervoso centrale, o per potenziare capacità motorie di individui che fanno lavori gravosi, es. movimentano carichi. In alcuni casi, questi dispositivi possono essere direttamente connessi al sistema nervoso centrale attraverso quelle che vengono chiamate brain-computer interface, ovvero interfaccia cervello – computer”.
Dalla Campania si è trasferito in Toscana: come ha vissuto l’allontanarsi da casa per studiare?
“Stare lontano da casa non è facile. Certo, si ha la possibilità di responsabilizzarsi, di crescere ‘prima’, di conoscere tante nuove persone, creando rapporti duraturi. L’aspetto più critico è, però, stare lontano dai propri genitori, vederli di tanto in tanto, e magari ritrovarli in un attimo invecchiati. Ma al di là delle questioni sentimentali, vivere lontani da casa è un’esperienza incredibile, che io stesso cercherò di spingere mio figlio a fare”.
Qual è stato l’aiuto dei suoi genitori nell’aiutarla a scegliere gli studi?
“Mio padre e mia madre mi hanno sempre lasciato scegliere. Il loro è stato più un aiuto di tipo ‘morale’. Mi hanno sempre detto ‘se ci sono difficoltà, non farti frenare’, una specie di tifo da stadio…
Docente, imprenditore, ma anche referente del progetto Me.Mo. Quali sono le sue personali definizioni di “merito” e “mobilità sociale”?
“La mia personale definizione di merito è considerare il valore e la qualità delle persone, inclusi gli studenti e le studentesse, basandosi su criteri come competenza, abilità, dedizione e capacità di raggiungere obiettivi, sia nello studio che nella carriera professionale. Una società fondata sul merito, che lo riconosce e lo valorizza, è una società in cui le persone e i professionisti sono selezionati in maniera esclusiva in base a una valutazione il più possibile equa e onesta del loro, o forse dovremmo dire dei loro meriti. La mobilità sociale è strettamente connessa al concetto di merito, ma ne estende il significato. A mio avviso, il merito e la selezione in base ad esso, missione che il nostro ateneo persegue senza possibilità di compromesso, rappresentano una condizione necessaria ma non sufficiente per favorire la mobilità sociale. Affinché la mobilità sociale sia effettivamente realizzabile, è fondamentale affrontare la doppia sfida dell'informazione e del supporto. Nella nostra missione, informare significa spiegare a tutti gli studenti l'importanza di una formazione superiore universitaria. Supportare, d'altra parte, implica trovare strumenti per superare le barriere socio-economiche, rendendo accessibile la scelta universitaria a tutti coloro che, una volta informati, desiderano intraprenderla. In queste due sfide in apparenza semplici, si gioca il futuro di crescita dei nostri giovani talenti”.
Il consiglio che si sente di dare a chi deve ancora scegliere cosa fare da grande?
“Di sicuro fare ciò che piace e farlo al meglio. Non seguite le mode ma ciò che voi pensate vi possa piacere. Se fate qualcosa che non vi piace, quello, a lungo andare, diventerà un lavoro per il quale non avrete voglia di fare sacrifici. Ma il lavoro vuol dire anche questo, sacrifici e fatica. Non ponetevi limiti. L’unico limite è solo quello che voi stessi vi date. E non fatevi condizionare dalla logica secondo la quale, data la mia situazione familiare, dove i miei genitori non sono laureati o dove non ci sono mezzi economici, allora non posso intraprendere i miei sogni. Tutto deve essere fatto con la massima determinazione”.
Per concludere, come descriverebbe il progetto Me.Mo. in poche parole?
“Informare e supportare i talenti del nostro paese”.
(*) Allievo della Scuola Superiore Sant'Anna e tutor del progetto Me.Mo.; allieva della Scuola Superiore Sant'Anna e tutor del progetto Me.Mo.