Lunedì 25 Novembre 2024
Edoardo Spataro
Merito e mobilità sociale

I diritti non sono da sempre: così emerse il legame tra merito e mobilità sociale nella Costituzione

Dal viaggio nella Roma del 1946 all’impegno della Scuola Superiore Sant’Anna nel progetto Me.Mo. per dare attuazione all’articolo 34 e costruire una società dove le differenze sociali ed economiche non ostacolano la propria realizzazione

La Costituzione compie 70 anni e viaggia in 12 città

Il capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola (al centro), Alcide De Gasperi (a sinistra) e Umberto Terracini (primo a destra) alla firma della Costituzione Italiana (Archivio Ansa)

I diritti non sono da sempre. Ogni diritto è una faticosa conquista, il risultato di dibattiti feroci, il compromesso tra opposte visioni. Eppure, anche dopo tanta tensione, un diritto può svanire se ciascuno non si fa carico di dargli concretezza. Di seguito l’articolo 34 della Costituzione è riletto con gli occhi di un uomo che contribuì a far emergere il legame tra merito e mobilità sociale nella Carta fondamentale, per scoprire cosa si può fare perché questo principio resti lettera viva.

“Quel 19 settembre 1946 Roma era rovente. E non solo perché un caldo mai visto stringeva le strade. Quel 19 settembre 1946 Roma era rovente anche perché in tutto il paese si discuteva di quale sistema economico avrebbe abbracciato la Repubblica. Liberali e Comunisti strattonavano il Governo De Gasperi in due opposte direzioni, con il rischio di spezzarlo. Sempre quel 19 settembre 1946 Michele Giua uscì di casa. Era tornato a Roma da poche settimane e, camminando per strada, non riusciva a smettere di pensare a quanto la città fosse diversa rispetto a quarant’anni prima, quando studiava Chimica a La Sapienza. La Chimica era molte cose per Michele: una passione, un lavoro, uno strumento. Era infatti la Chimica che lo aveva spinto a lasciare la sua Sardegna quasi cinquant’anni prima e a trasferirsi prima a Roma, poi a Berlino e infine a Torino, dov’era diventato professore. La Chimica gli aveva anche salvato la vita: fu così ad esempio quando creò diversi tipi di inchiostro invisibile per poter scambiare lettere segrete con altri militanti anti-fascisti di “Giustizia e Libertà”.

Sì, perché oltre che chimico, Michele era anti-fascista. Lo era rimasto anche quando gli fu chiesto di giurare fedeltà al regime nel 1933. Lo era rimasto anche quando il suo impegno in “Giustizia e Libertà” lo portò ad essere un sorvegliato speciale polizia politica fascista. Lo era rimasto anche dopo essere stato arrestato nel 1934 e detenuto per i nove anni successivi. E nonostante tutto questo, Michele continuava ad amare l’impegno politico. Così dopo il carcere, come aveva fatto in gioventù, decise di militare nel Partito Socialista. E per il Partito Socialista fu eletto in Assemblea costituente diventando l’Onorevole Giua. Quel 19 settembre 1946 l’Onorevole Michele Giua arrivò a Palazzo Montecitorio verso le nove e si raggiunse la sala della Terza Sottocommissione. Quella mattina doveva esporre la sua relazione sulle “Garanzie economico-sociali del diritto all’affermazione della personalità del cittadino”. Il primo paragrafo era intitolato “Istruzione” e, subito sotto, in corsivo, era riportato il testo di un articolo: «L'istruzione è un bene sociale. È dovere dello Stato di organizzare l'istruzione di qualsiasi grado, in modo che tutti i capaci possano usufruire di essa. L'insegnamento elementare gratuito è obbligatorio per tutti. La frequenza delle scuole di gradi superiori è permessa ai soli capaci. All'istruzione dei ragazzi poveri, che per capacità possono frequentare le scuole di gradi superiori, lo Stato provvede con aiuti materiali».

Da questo testo, di cui Giua fu relatore, scaturì un dibattito durato oltre sette mesi. Un dibattito in cui a dividere i Costituenti fu soprattutto il ruolo dell’istruzione superiore nella neonata Repubblica. I Costituenti erano tutti consapevoli della centralità dell’istruzione come elemento di mobilità sociale. Tuttavia, erano divisi su chi dovesse poter rendere diversa la propria vita grazie a scuole superiori e università. Una parte dell’Assemblea sosteneva che “solo i capaci” dovessero poter proseguire negli studi. Secondo questa linea di pensiero, una selezione all’ingresso avrebbe evitato un’inflazione dei titoli di studio e garantito un funzionamento più efficiente degli istituti scolastici e degli atenei. La pensavano diversamente quei deputati che intendevano riconoscere a chiunque il diritto di accedere all’istruzione superiore: sarebbero stati casomai gli esami a fermare i meno preparati, ma senza nessuna barriera all’ingresso. La società aveva un bisogno disperato di conoscenze e competenze, a qualunque livello, e sarebbe stato assurdo che la Costituzione limitasse la diffusione del sapere. In breve tempo, il merito divenne il nodo cruciale della questione.

Tutti i Costituenti intendevano tutelarlo: i primi consentendo solo ai meritevoli di continuare a studiare; i secondi fornendo a questi aiuti economici. Alla fine a prevalere fu la seconda linea. Dopo una lunghissima serie di rimaneggiamenti, il 20 dicembre 1947 l’Assemblea costituente approvò l’attuale art. 34, rimasto identico sino ad oggi: «La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso». E così anche se l’istruzione superiore e universitaria non è impedita a nessuno, sono solo i “capaci e meritevoli” purché “privi di mezzi” a ricevere il sostegno della Repubblica per “raggiungere i gradi più alti degli studi”. Secondo il disegno costituzionale, le condizioni sociali ed economiche di partenza non devono in alcun modo incidere sulla progressione culturale e sociale dei cittadini. Per evitare che questi sostegni economici siano erogati senza criterio, l’art. 34 impone l’attribuzione di borse e assegno di studio per concorso. In questo modo, accanto all’uguaglianza sostanziale, si preserva l’uguaglianza formale tra i candidati, nonché l’imparzialità e la trasparenza nell’attribuzione di denaro pubblico. Come molte altre parti della Costituzione repubblicana, l’art. 34 è stato attuato solo parzialmente: la cronica mancanza di risorse dello Stato ha comportato per molti la negazione, di fatto, del loro “diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi”.

Attuare la Costituzione è un dovere che tuttavia non incombe solamente sullo Stato, ma su tutti noi. “La Costituzione” - come scriveva Calamandrei – “è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove”. Perché si muova, ognuno deve “metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”.

Come Scuola Superiore Sant’Anna riconosciamo la nostra responsabilità nel realizzare questo importante impegno costituzionale: dal 2019 portiamo avanti il progetto Me.Mo. Merito e Mobilità sociale, la cui missione è appunto indicare a ragazzi e ragazze la via per poter “raggiungere i gradi più alti degli studi” e realizzare la vita che desiderano. Il focus non è solo formazione sui benefici dell’istruzione universitaria: ai first generation students (Studentesse e studenti di famiglie con genitori non laureati, NdR) selezionati sono forniti consigli concreti sulle opportunità esistenti per finanziarsi durante gli studi. Quel 19 settembre 1946 l’Onorevole Giua tracciò i primi passi di un cammino. Come Scuola Sant’Anna continuiamo quel tragitto, sperando un giorno di vederne la meta: una società in cui le differenze sociali ed economiche non ostacolino la realizzazione di sé”.

Edoardo Spataro è allievo della Scuola Superiore Sant’Anna