Pisa, 17 settembre 2024 – Luca Gori, quali sono i suoi interessi scientifici e i suoi incarichi?
“Dopo essere stato allievo della Scuola Superiore Sant’Anna, settore di Scienze Giuridiche, ora sono ricercatore di Diritto Costituzionale, sempre alla Scuola Superiore Sant'Anna. Tra l’altro sono anche il segretario generale della Fondazione Il Talento all’Opera, che sostiene il progetto Me.Mo. Merito e Mobilità Sociale, e – da pochi mesi - il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia”.
Perché ha scelto di fare l’università? E perché proprio giurisprudenza?
“Confesso che non c’è mai stato un momento in cui non io non abbia voluto fare giurisprudenza: è stato un elemento chiaro fin da quando ero ragazzino. Due sono gli elementi che mi hanno fatto appassionare. Da un lato, la passione politica che si respirava a casa mia, come in molte famiglie della Toscana, divise fra memorie democristiane e militanza di sinistra, ma sempre con l’attenzione per le regole costituzionali dentro le quali questo dibattito si doveva sviluppare . Dall’altro lato, invece, mi ha sempre affascinato l’idea delle regole che le comunità si danno per sopravvivere, avvertite come vincolanti anche se non scritte da nessuna parte. Poi, al termine del liceo, ascoltando Paolo Grossi una folgorazione. Ricordo ancora l’esempio che ci fece: perché stiamo in fila allo sportello postale in ordine di arrivo, mentre al pronto soccorso, in fila, lasciamo passare avanti chi ha più urgenza? Sempre una fila è, ma cambiano i valori che la organizzano. Non ci avevo mai riflettuto: fu una svolta per un ragazzo che iniziava gli studi universitari. Da là il mio interesse per le formazioni sociali e l’associazionismo”.
Cosa ha imparato dalla vita da fuori sede?
“Io sono originario di Pistoia. La vita da fuori sede qui alla Scuola Superiore Sant’Anna è stata per me una grande palestra di vita, dal momento che, fuori dall’ala protettiva familiare, ho dovuto imparare a convivere con molti altri ragazzi e altre ragazze provenienti da tutta Italia e con aspettative, bisogni ed interessi molto diversi. La banale scelta su come allocare il budget per l’acquisto dei quotidiani o la ripartizione delle stanze era un bel momento di vita democratica, di costruzione di un “modo” per vivere insieme. Altro elemento molto importante è stato lo scambio multidisciplinare: i miei più grandi amici conosciuti qui alla Scuola Superiore Sant’Anna provengono da tanti settori scientifici differenti ed hanno arricchito e contaminato in modo formidabile. Infine, ho ricevuto una grande educazione alla libertà: diciottenni in un collegio, che si misurano con i propri limiti, le proprie fragilità e le proprie passioni. E’ stato bellissimo.
Ci racconta il ricordo più bello dei suoi anni universitari?
“Il mio ricordo più bello qui alla Scuola Superiore Sant’Anna è prolungato nel tempo e fa riferimento alla mia esperienza di ‘servizio’ come rappresentante degli allievi del settore di Giurisprudenza, incarico che mi ha permesso di entrare in contatto con i docenti ma, soprattutto, con gli allievi e le allieve, nei momenti di difficoltà o di rallentamento degli studi. Questa relazione è stata entusiasmante, mi ha permesso di costruire amicizie che mi sono portato dietro e che avverto davvero come punti di riferimento per la vita”.
Il suo principale focus di ricerca sono gli enti del terzo settore e le organizzazioni no-profit, quando e come mai ha scelto di occupartene?
“Gli enti del terzo settore sono un pezzo importantissimo della nostra vita in comune, dal momento che offrono una soluzione diversa rispetto a quella che lo stato e il mercato elaborano (o non elaborano) per la risposta ai nostri bisogni e dei nostri problemi. Il mio ‘biglietto d’ingresso’ in questo ambito è stata la mia famiglia. Potrei dire anche l’origine, forse. Una zia di mio padre, con cui passavo molto tempo nella mia infanzia, era impegnata in un’associazione che svolgeva un’attività che agli occhi di me bambino era ‘scandalosa’. Intrattenevano, infatti, una corrispondenza con alcune detenute del carcere di Sollicciano, erano gli anni ’80-inizio anni ‘90. La mia domanda era: ma perché con le detenute? Non c’è altro di ‘più utile’ da fare? Ho capito da grande che stavano dando speranza e dignità a quelle donne. Poi l’impegno al liceo nel volontariato nel campo della disabilità. Infine, l’incontro con il professor Emanuele Rossi, docente di Diritto Costituzionale, pioniere degli studi del terzo settore. Da lì ho intrapreso la mia ricerca sul perché le persone si mobilitano attorno a delle cause volte non a soddisfare un interesse proprio o di gruppo ma al benessere della comunità. In fondo, la risposta alla domanda: perché scrivere quelle lettere alle detenute?”.
La solidarietà, ovvero l'impegno etico-sociale per gli altri che questo tipo di organizzazioni promuovono, è presente nella nostra Costituzione in corrispondenza dei diritti inviolabili dell'uomo, cosa significa: ce lo può spiegare? Come dovrebbe influenzare le nostre scelte e il nostro impegno per la società?
“Il principio di solidarietà è uno dei nodi fondamentali della nostra Carta costituzionale; lo stesso articolo 2 della Costituzione riconosce i diritti inviolabili della persona ma allo stesso tempo richiede anche a ciascuno l’adempimento dei cosiddetti doveri inderogabili di solidarietà. Sono due i pilastri sui quali si regge la repubblica: il rispetto dei diritti inviolabili, come elemento antecedente al potere pubblico, e i doveri di solidarietà, ovvero l’obbligo per ciascuno di noi di attivarsi affinché tutti possano godere di quei diritti. Potremmo dire che i diritti esistono nella misura in cui esistono anche i doveri inderogabili. Ma come si fa ad adempiere a questi doveri inderogabili? Serve di sicuro la forza della legge che, tramite l’esercizio del potere, garantisce che quei doveri siano adempiuti. Per esempio, pagare le tasse è uno degli obblighi inderogabili di solidarietà, perché in tal modo contribuisco alla spesa pubblica e faccio in modo che tutti possano godere dei propri diritti. L’area di ricerca di cui mi occupo è un’altra area della solidarietà, quella in cui non mi attivo perché me lo ordina il potere, ma sono io stesso che avverto dentro di me l’esigenza di mettere a disposizione il mio tempo, capacità e risorse a favore dell’interesse collettivo. Nessuno mi chiede di attivarmi per combattere la povertà educativa, ma moltissime associazioni lo fanno, con risultati incredibili. Il lavoro di ricerca del costituzionalista consiste proprio nel capire come si possa sostenere la libertà delle persone nel momento in cui fanno questa scelta di solidarietà, come si possano aiutare a raggiungere la missione che si pongono, che risorse possono essere offerte loro, quali vincoli è necessario chiedere”.
Oggi, oltre a insegnare presso la Scuola Superiore Sant’Anna, ricopre incarichi rilevanti all'interno di importanti fondazioni. Ci può raccontare cosa sono, di cosa si occupano e cosa significa per lei impegnarsi attivamente e non soltanto da ricercatore nel terzo settore?
“Quello del terzo settore è un mondo che cambia con grande rapidità. Ogni giorno ci sono nuovi modi e forme per sostenere; ad esempio, trenta/quaranta anni fa il problema della povertà educativa non era così sentito, oggi è una priorità all’agenda. Fino agli anni ‘90 il tema dell’immigrazione era secondario, oggi è una delle grandi urgenze, e così avanti. Facendo ricerca su questi aspetti molto radicati nella vita delle comunità, è necessario sporcarsi le mani, stare dentro a queste realtà. Cercare di capire cosa succede, come si organizzino. Al momento mi impegno nella Fondazione Il Talento all’Opera, una realtà legata alla Scuola Sant’Anna che si occupa di assicurare che il talento possa essere riconosciuto e sostenuto, soprattutto nei contesti sociali e territoriali più fragili. Da poco sono stato eletto presidente di un’altra fondazione di origine bancaria, la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. L’invito che rivolgo a studentesse e studenti è di accompagnare alla passione per lo studio anche quella per la realtà e la comunità che vi circonda. Non c’è attività di studio o di ricerca che viva da sola rispetto al mondo che la circonda. Questo penso sia una delle più grandi lezioni che ho appreso proprio qui alla Scuola Superiore Sant’Anna”.
Il progetto Me.Mo. si fonda sul merito e sulla mobilità sociale: qual è la sua personale definizione del merito? E della mobilità sociale?
“Dal mio punto di vista merito significa valorizzare le capacità di ciascuno e dare a tutti la possibilità effettiva di esprimerle. Per raggiungere tale obiettivo è necessario un grande sforzo dal punto di vista della mobilità sociale, in quanto ormai è davanti agli occhi di tutti quanto pesino i condizionamenti sociali, economici e geografici sulla biografia di ciascuno, specialmente dei più giovani. È fondamentale riuscire a consentire l’espressione delle capacità, a prescindere dalle condizioni di contesto”.
Alla luce di queste riflessioni, come si declina l'impegno della Fondazione Il Talento all’Opera nei confronti di questi temi? Perché lei pensa che sia importante?
“La Fondazione Il Talento all’Opera prova a realizzare questo obiettivo, a creare le condizioni per cui ciascuno sia messo in grado di esprimere il proprio talento. Lo fa raccogliendo risorse da destinare a questo scopo, le quali provengono dal sistema delle imprese che liberamente decidono di sostenere questa missione. Vogliamo consentire al maggior numero possibile di ragazzi e ragazze di “sperimentare” gli scenari possibili per il loro futuro. Siamo consapevoli che le risorse che possiamo mettere a disposizione sono per definizione scarse, ma ciò sicuramente ci sfida, invitandoci a massimizzare il risultato, ad utilizzare queste risorse colpendo i punti in cui possiamo essere in grado di fare la differenza”.