
La Commissione europea approva mirikizumab per il Crohn, offrendo nuova speranza ai pazienti con terapia innovativa.
Spegne l’azione di una proteina che è responsabile di una delle patologie croniche infiammatorie più difficili con cui convivere, la malattia di Crohn. Lilly, colosso della ricerca farmaceutica con 150 anni di vita alle spalle, ha annunciato il via libera della Commissione europea alla sua molecola, chiamata mirikizumab, anche per questo particolare morbo, per i pazienti adulti che soffrono del Crohn in fase attiva anche grave e hanno avuto una risposta insufficiente, o l’hanno persa o sono intolleranti alla terapia tradizionale, ma anche a un trattamento biologico. La sostanza, che ora anche l’Ue accetta per questa specifica affezione, è tecnicamente l’antagonista di una particolare proteina, chiamata “interleuchina-23p19“. Dietro questo nome complesso e questa serie di numeri, si identifica un elemento chiave nello stato infiammatorio intestinale da cui dipende il problema. Il mirikizumab, un anticorpo monoclonale, era già stato approvato lo scorso anno dall’Aifa, che lo considera adatto a trattare la colite ulcerosa.
La ricerca ora offre una svolta anche per coloro con i quali la terapia farmacologica non ha funzionato o non può essere prescritta. E non si tratta di un problema di modeste dimensioni. Basti pensare che questa affezione è una delle principali malattie infiammatorie intestinali fin qui classificate e si stima colpisca 100mila persone in Italia, che cominciano ad avvertirne i sintomi in genere fra i 15 e i 40 anni, anche se l’esordio può avvenire in qualunque età. Una condizione progressivamente invalidante, che peggiora nettamente la qualità della vita e porta anche a disabilità. Un problema rilevante anche in Lombardia, dove vivono 44mila persone affette da malattie dello stesso tipo, di cui circa 17mila convivono con il Crohn.
Il farmaco offre la speranza di una diversa gestione della patologia, offrendo ai pazienti un trattamento mirato in grado di migliorare significativamente la loro quotidianità. Molti, infatti, non raggiungono la remissione completa, nonostante i trattamenti, o non mantengono la patologia sotto controllo per un lungo periodo: fino al 40% di coloro che ne soffrono non rispondono ai farmaci inibitori del Tnf, sigla inglese del Fattore di necrosi tumorale, che sono utilizzati per diverse patologie autoimmuni, fra cui anche il Crohn, e il 50% di quelli che ottengono risultati quando iniziano il trattamento perdono i benefici nel corso del primo anno di cure.
La decisione della Commissione europea, che segue il parere positivo del Comitato per i medicinali per uso umano dell’Agenzia europea del dicembre 2024, si basa principalmente sui risultati dello studio i cui risultati mostrano come i pazienti trattati con mirikizumab abbiano riscontrato un miglioramento significativo sia della remissione clinica (54,1% contro 19,6% di pazienti trattati con placebo) sia della risposta endoscopica a un anno, con una guarigione visibile del rivestimento intestinale (48,4% contro il 9% di pazienti trattati con placebo).
Mirikizumab segue ulteriori studi, per valutarlo sull’arco di tempo fino a tre anni in adulti con malattia di Crohn da moderata a severa. E i dati sono incoraggianti: tra coloro che hanno raggiunto una risposta endoscopica dopo un anno nello studio precedente, oltre l’80% ha mantenuto la risposta e quasi il 90% dei pazienti che ha ottenuto risposta clinica ed endoscopica ha mantenuto il risultato. "Questa approvazione rappresenta un’importante opportunità per migliorare la qualità di vita di chi è colpito dal Crohn – afferma Elias Khalil, presidente e amministratore delegato Italy Hub di Lilly –. Il nostro impegno è quello di offrire soluzioni terapeutiche innovative e sicure, collaborando con la comunità scientifica per rispondere ai bisogni insoddisfatti di chi convive con questa patologia. Siamo convinti che mirikizumab possa contribuire in modo significativo alla gestione della malattia e al miglioramento del benessere generale di chi ne soffre".