Roma, 3 aprile 2024 - Violenza di genere e linguaggio della giustizia, dalle denunce ai processi. Anna Lorenzetti - associata di Diritto costituzionale all’università di Bergamo e consulente del ministero nell’Osservatorio voluto nel 2022 da Cartabia e confermato da Nordio - non usa tanti giri di parole. Premette: “Stiamo lavorando sulla formazione. Il tema della violenza è intrinsecamente connesso al linguaggio, anche per come si scrivono le norme e le sentenze e per come si raccolgono le denunce. Ma anche per come vengono raccontate. In questo, il ruolo dei giornalisti è davvero importante, per fortuna registro un miglioramento”.
Un opuscolo contro gli stereotipi sulle donne
Annuncia Lorenzetti: “Stiamo lavorando sulle attività formative e di sensibilizzazione. A breve sarà pronto un opuscolo orientativo che dà conto degli stereotipi più classici, come sostenere ad esempio che alla donna siano sempre graditi i complimenti”.
Il processo e le donne
La docente suggerisce un ‘percorso’: “Partiamo da come le donne attraversano ad esempio il processo, che è un po’ loro nemico da tanti punti di vista. E’ il luogo in cui si accerta un fatto. Gli avvocati giustamente esercitano il loro mestiere, il diritto alla difesa. I giudici devono arrivare alla verità. Quello che vale per il furto e la rapina vale anche per la violenza sessuale. Ma quando un uomo va a fare una denuncia di furto nessuno gli chiede: ‘Scusi, lei aveva il polsino scoperto, con le maniche tirate su? Come mai era in giro con un orologio così caro? Non è che si è guardato intorno sperando che qualcuno le rubasse l’orologio?’. Nessuno fa queste domande, su questo ci sono state parole veramente forti della Corte europea dei diritti dell’uomo”.
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La Corte europea e la condanna dell’Italia
La vicenda è nota come caso J.L. c. Italia e risale al 2021. Ricorda la professoressa: “Siamo a Firenze, una ragazza ha subito quello che oggi definiamo stupro di gruppo. Era stata chiusa in un’auto e abusata a turno, nell’ilarità generale. Il processo aveva accertato come questi ragazzi non fossero consapevoli del mancato consenso. Lei urlava, piangeva e diceva no, non voglio. Ma nella sentenza sono stati scritti giudizi così: era stata ammiccante tutta la sera, indossava biancheria intima rossa, aveva avuto una storia con uno di loro e soprattutto aveva uno stile di vita sessuale disordinato. In verità, quella giovane era semplicemente bisessuale. I ragazzi sono stati prima condannati e poi assolti. In Italia il sistema è garantista, in dubio pro reo. Il problema non è quello. Il problema sono gli stereotipi. Per quelli è stata condannata l’Italia. Cosa c’entra la biancheria intima rossa?".
Il problema del consenso ‘automatico’
Arriviamo così al nodo centrale. “In Italia – riflette la docente – il consenso è davvero problematico. E’ come se dovessi provare il non consenso, come se fosse automatico, c’è una sorta di presunzione del consenso. Oggi la situazione resta sicuramente problematica, la condanna di Strasburgo ne è la prova. Ma si sta facendo un grande lavoro, anche con la formazione della magistratura”.