
Illustrazione di Giancarlo Caligaris
Roma, 8 marzo 2025 – È una storia dura come l’inverno e delicata come l’abbraccio tra una madre e una figlia adolescente. È il racconto che Simona Baldelli ci ha regalato per celebrare la Giornata internazionale della donna. Il panorama della sua storia è ben descritto anche dai disegni di Giancarlo Caligaris. C’è la neve là fuori, e se è per questo c’è anche la guerra. È un conflitto moderno, fatto di droni e comunicazioni interrotte. Madre e figlia raggiungono la casa da cui sono scappate. La trovano sventrata, violata, ma pur sempre in piedi. Dentro non c’è molto da fare, se non stringersi in un angolo e ritrovare il calore perduto. Nell’abbraccio tra queste due donne si concentra anche tutta la loro forza. Madre e figlia protagoniste del racconto di Baldelli – Premio Calvino 2012, Premio donna scrittrice 2023, finalista al Premio Campiello Junior 2025 – sono sole, ma padrone del loro destino. È questo, per la scrittrice, il senso anche di questa giornata. Una determinazione che viaggia sempre assieme alle difficoltà da superare. E se poi la guerra è finita davvero, come pare nel racconto, il primo gesto di rinascita sarà quello di una donna.
Bucaneve
Ha riconosciuto la casa da un lembo di tenda che usciva dalla finestra sventrata. L’aveva scelta con cura quella stoffa a scacchi bianchi e blu che ora sventolava come una resa, una richiesta di pace. Il tetto e il primo piano sono crollati. Tutto il quartiere è crollato. Quando le sirene avevano dato l’allarme, era scappata insieme alla figlia verso il parco che sfuma in una piccola macchia boschiva, che prosegue fino alla collina alle spalle della città. Da lassù avevano visto gli abitanti sparpagliarsi in ogni direzione, in cerca di salvezza. Chi in macchina, in bicicletta, a piedi. Lei aveva pensato che nell’automobile era facile rimanere intrappolate in un ingorgo, nelle strade intasate. Così era stato. Dopo qualche minuto erano arrivati i droni col loro carico di bombe. Le prime le avevano sganciate sui serpenti di macchine, poi sulle case. Scoppi e bagliori uno dopo l’altro, a mai finire. Ne era seguito un silenzio ancora più spaventoso. Non una voce umana, il pianto di un bambino, il latrato di un cane. Niente. Solo colonne di fumo e odore di carne strinata. Si era stretta la figlia contro il corpo, un po’ per istinto di protezione, un po’ per scaldarsi a vicenda. Non hanno altro oltre i giubbotti addosso, ma si avvicina il tramonto, e il freddo già taglia la carne. Qualcosa aveva premuto sul fianco. Aveva provato gratitudine verso se stessa, per aver messo il telefono e le chiavi in tasca senza pensare; un gesto inconsapevole e abitudinario che ora potrebbe salvargli la vita. Aveva osservato il display e la gratitudine si era fatta disperazione. Niente linea, le bombe dovevano aver colpito i ripetitori sull’altro lato della collina. Sono isolate dal mondo. Esiste ancora, il mondo? Il marito era uscito all’alba per andare al lavoro nella città vicina. Il bombardamento non era previsto. E invece. Torniamo a casa, aveva detto alla figlia. Va bene, le aveva risposto. Hanno ritrovato una città di fantasmi e lapidi sbeccate. Pensava di essere preparata a quello che avrebbe visto, ma è qualcosa che va oltre l’immaginazione, oltre l’orrore provato davanti alla televisione che mandava simili spettacoli in altri centri abitati come il loro. Non riconosce le case, le strade, le piazze, non c’è niente che sia rimasto in piedi. Le macerie sono tutte uguali. Poi, il lembo di tenda a scacchi bianchi e blu. Dentro, è rimasto solo un pezzetto di pavimento della cucina, il resto è un immenso cratere che si è mangiato mobili e oggetti. Si rintanano sotto quello che una volta era il lavello, accartocciate l’una dentro l’altra, una gatta col cucciolo in grembo. La figlia le afferra il giubbotto per tirarlo a sé, come se la madre fosse una coperta. La donna guarda le dita aggrappate alla stoffa. Ricorda la prima volta in cui le manina le ha afferrato un dito. Ti proteggerò per sempre, le aveva giurato. Pensava che non sarebbero riuscite a dormire, ma la stanchezza e il freddo hanno misericordia di loro. Al mattino, si svegliano coperte di neve. La donna va a carponi sotto la finestra, scosta la tenda a scacchi blu. Un bianco immacolato nasconde ogni cosa, come se la natura avesse avuto pudore dello sfacelo. Accanto a quel che resta del muro di cinta del giardino è spuntato un bucaneve. È straziante vedere come la vita si ostini ad andare avanti, nonostante tutto. Come la vita si aggrappi alla vita. Prende il telefono dalla tasca. C’è una tacca di segnale che va e viene. Chiama il marito. Niente squillo, né la voce registrata dell’operatore. Manda un messaggio: siamo a casa, vieni appena puoi. Il giorno dopo non è cambiato niente, solo il bucaneve è cresciuto un po’ di più. Ieri si vedevano i campanelli delle corolle, oggi anche un palmo di stelo. Sotto i mattoni hanno trovato un pacco di biscotti. Le pare di ricordare che si può vivere fino a due settimane senza mangiare e solo tre giorni senza bere. I biscotti sono una bella scorta. Per bere, c’è la neve. Il telefono si spegne, scarico del tutto. Non sa se sia meglio restare lì o andare altrove. Ma dove. Forse il marito ha ricevuto il messaggio, o un vicino potrebbe venire a vedere se la casa è rimasta in piedi. Potrebbero arrivare i militari del loro esercito. O quello nemico. A finire il lavoro, fare razzia di quel che si è salvato fra le macerie. Cercare dei sopravvissuti per farli prigionieri. Se lei e la figlia fossero uomini, avrebbero la speranza di una morte rapida. Ma le donne non hanno questa fortuna. Chiude gli occhi e le pare di avere addosso le mani pesanti, il fiato greve di odio e cibo rancido, il peso dei corpi, il tanfo del sudore. Essere donne è terribile a volte; la morte è niente, in confronto. La figlia è quasi una bambina coi suoi quindici anni appena compiuti. Chissà se è ancora vergine. Spera di no, che abbia avuto una prima volta di dolcezza. Adesso capisce perché alcune ragazze vogliano fare il soldato. In caso di guerra hanno un’arma a disposizione, da usare sugli altri o su di sé, nel caso. Torna a spiare dalla finestra. Le pare di scorgere impronte attorno al bucaneve. Amici o nemici? Quando sono venuti? Forse il marito ha visto la casa sventrata ed è andato oltre? Ha passato il resto della giornata acquattata con la figlia sotto il lavello. Ha creduto di sentire passi e frasi sussurrate. Un’agonia insopportabile. Ora apre il portone e si mette a gridare. Succeda quel che deve succedere, non può essere peggio dell’angoscia dell’attesa. Si alza, va alla porta. La ferma un rumore dall’altro lato della soglia, appena percettibile: lo scricchiolio della neve sotto le scarpe. Poi, un colpo leggero sul portone.