Lunedì 10 Marzo 2025
VIVIANA PONCHIA
QN X le Donne

Orfani di femminicidio, Francesca Barra: “Racconto la vita di Pasquale che vide uccidere la madre”

Francesca Barra nel libro “Figli di nessuno”: “Per dieci anni non riuscì a piangere. Suo padre la strangolò in casa. Lui con la sorella fu affidato alla famiglia paterna”

Orfani di femminicidio, Francesca Barra: “Racconto la vita di Pasquale che vide uccidere la madre”

Non esiste una stima esatta di quanti siano, in Italia, gli orfani di femminicidio. Eppure, da qualche anno, una legge che dovrebbe tutelarli esiste (seppure di difficile applicazione). Così come funziona una grande iniziativa seppur del tutto privata. Al momento (dato aggiornato a novembre 2024) sono 157 gli orfani presi in carico dai progetti su scala nazionale attivati da “Con i Bambini” grazie appunto all’iniziativa “A braccia aperte”. Ma è un dato variabile perché altri 260 in tutta Italia sono stati già agganciati e sono destinati a un percorso di sostegno. “Con i Bambini” è una società senza scopo di lucro costituita il 15 giugno 2016 per attuare i programmi del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. ll 36% dei minori presi in carico era presente quando è stata uccisa la madre. Uno su quattro ha assistito. La legge è la numero 4 del 2018, che riconosce una serie di tutele processuali ed economiche. Per esempio si procede automaticamente al sequestro dei beni dell’indagato per risarcire i danni dei figli della mamma uccisa. Un analogo automatismo trasferisce l’eredità della madre ai figli. L’accesso ai benefici, però, è farraginoso. “A braccia aperte” cerca di offrire soluzioni di semplificazione anche attraverso specialisti e legali.

La giornalista Francesca Barra ha scritto un libro sugli orfani di femminicidio
La giornalista Francesca Barra ha scritto un libro sugli orfani di femminicidio

"Mio padre, il demone, agli occhi degli altri era perfetto”. Attorno alla madre invece tutto sembrava fuori posto: il corpo sul tappeto macchiato, le briciole sulle labbra, la pinza per i ricci con i denti rotti. Degli orfani di femminicidio si parla raramente. Stanno ai margini, incastrati nella disperazione dei dettagli. Ma è anche e soprattutto la loro tragedia. Lei non c’è più. E lui, il suo assassino, incombe sul deserto del cuore, dove l’odio per ciò che ha fatto sconfina nella bestemmia di volergli ancora bene. “Figli di nessuno” fa quello che dovrebbero fare i libri: costringe a guardare dove sarebbe meglio di no.

Lo hanno scritto Francesca Barra e Pasquale Guadagno e non è stata una faccenda semplice. La giornalista lo ammette: “Io alla fine mi sento al sicuro a casa con i miei quattro figli e mio marito (l’attore Claudio Santamaria ndr). Pasquale no”. Domenica 25 aprile 2010 Salvatore Guadagno strangolò per gelosia nel cucinotto di casa la moglie Carmela Cerillo e in un colpo solo, in qualche modo, il figlio bambino li perse entrambi. Il padre fu condannato con rito abbreviato a 18 anni di carcere, ridotti a 13 e mezzo per buona condotta, e nel 2024 è tornato libero. In mezzo scorre un fiume personale di dolore congelato ma, pagina dopo pagina, diventa evidente che quel dolore riguarda tutti. Che al sicuro non starà nessuno finché un padre padrone, in quanto vedovo, potrà addirittura disporre della salma della donna che ha ucciso.

Francesca Barra, non bastano le leggi attorcigliate su se stesse o i risarcimenti ridicoli, in questo caso 30mila euro a ciascuno dei due figli sopravvissuti. Chi salva chi resta?

“Nessuno, è anche sparito il fondo per la povertà educativa che in teoria avrebbe dovuto garantire assistenza agli orfani di femminicidio. C’è un’ipocrisia di fondo. Il caso di cronaca è funzionale al dibattito del momento, poi si dimentica. Pasquale e sua sorella sono stati spostati nella famiglia paterna dove hanno subito un vero e proprio lavaggio del cervello: vostra madre se l’è cercata, è tornata a casa e lo ha provocato. Tutto senza il controllo degli assistenti sociali e degli psicologi. Sono stati fortunati a sopravvivere, ma non ci si può affidare alla fortuna”.

Non hanno nemmeno potuto scegliere il luogo dove seppellire la madre. E con l’elemosina da parte dello Stato non hanno di certo svoltato.

“Non solo. La beffa è che per rispettare la volontà di Carmela di essere sepolta a Napoli hanno dovuto investire soldi propri. Papà non voleva metterci la firma, sono andati in causa e stanno ancora pagando”.

Pasquale scrive di un male che continuava a cadergli addosso. E di un padre che una volta uscito dal carcere non è andato a cercarlo. Ecco, a questo non pensiamo mai.

“Non giudico quell’uomo, di pancia verrebbe facile dire che schifo, ma è tutto troppo complicato. Pasquale è un ragazzo educato, gentile. Non so come ci sia riuscito. Quando gli chiedono se 13 anni di galera siano pochi risponde che la domanda è mal posta. Conta il percorso di recupero, che suo padre evidentemente non ha fatto. Di questo si rammarica”.

E si domanda quante persone come Salvatore ci vivono accanto senza che ce ne accorgiamo. I segnali sono lì prima che al «demone» venga in mente di sbattere la testa della moglie contro un frigorifero.

“Lui non poteva rendersene conto perché il suo modello era la violenza. Gli altri però sì. Quelli che vedono, sentono e girano la testa dall’altra parte. Ripeto sempre che la comunità ha un ruolo fondamentale, in certi casi è l’unica possibilità di salvezza”.

A raccontare queste tragedie sono le carte dei processi, necessariamente fredde e prive di emozione. Ma Pasquale adesso si domanda se la madre agonizzando abbia sussurrato il suo nome o quello di Dio.

“Per dieci anni non ha pianto, non ha voluto guardare in faccia la morte. Ora capisce di non essere stato educato alla vita e mi chiede se sia davvero successo. Non puoi capire cosa si prova, dice. Ha ragione: non possiamo capire”.