Genova, 21 dicembre 2023 - Nada Cella uccisa a Chiavari il 6 maggio 1996 e un bottone. Già, proprio da un bottone trovato sotto il corpo della segretaria 25enne si è arrivati alla svolta 27 anni dopo: a due anni dalla riapertura delle indagini, è arrivata la richiesta di processo per Annalucia Cecere.
Tutto comincia da un suo master a Genova.
“Non avevo mai seguito il caso di Nada Cella, vivo e lavoro a Bari, me ne parlò un giornalista”.
Poi ha incontrato la mamma di Nada, Silvana.
“Ed è iniziato il nostro sodalizio. Insieme ne abbiamo passate tante, soprattutto all’inizio quando eravamo da sole”.
Cosa ha pensato alla notizia di richiesta del processo?
“Per nessuno di noi si può parlare di felicità, è morta una ragazza di 25 anni. Sicuramente di commozione sì. Perché Nada è stata uccisa in modo brutale”.
E ora?
“Restiamo fiduciose, soprattutto mamma Silvana, nella giustizia, e nella possibilità di arrivare alla verità”.
Qual è stato l’elemento determinante, tra quelli emersi?
“Quello che ha portato alla riapertura delle indagini nel 2021 è stato sicuramente il ritrovamento del verbale dei bottoni. C’erano una marea di indizi sull’indagata ma mancava l’elemento nuovo. Perché in Italia, quando un’inchiesta è stata archiviata, può essere riaperta solo con un elemento assolutamente nuovo, che possa far ripartire tutto”.
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Il verbale dei bottoni: di che cosa si tratta?
“Quel verbale era stato redatto dai carabinieri di Chiavari ma non era stato trasmesso alla polizia giudiziaria”.
Cosa c’era scritto?
“Che erano stati ritrovati dai carabinieri a casa dell’indagata 5 bottoni del tutto sovrapponibili a quello scoperto sotto il corpo di Nada. Che quando è stata aggredita e uccisa, ha lottato e ha strappato un bottone dal vestito dell’aggressore. Ma quel verbale non era mai stato trasmesso a chi di dovere”.
Da lì la sua istanza di riapertura?
“Sì. Ma ci tengo a dire che su quella persona c’era davvero tanti indizi, una marea. Il verbale, che mi porto ancora in borsa, piegato, è stato solo l’elemento che ha consentito di riprendere le indagini”.
Ci sono casi di giovani donne scomparse e mai ritrovate come Cristina Golinucci, il gip si è appena opposto all’ultima richiesta di archiviazione della procura. Sono passati 31 anni, c’è ancora speranza di capire?
“La mia opinione è questa: quando prendo in mano un vecchio caso e riesamino le carte, non parto mai con l’idea che tanto non c’è speranza. Oppure, al contrario, che sicuramente riusciremo a far riaprire l’inchiesta. La prospettiva per analizzare questi casi non è fare una valutazione, determinare una convenienza o una probabilità di successo. La prospettiva dev’essere: se non arriveremo a niente, non fa nulla. Bisogna cercare di smuovere mari e monti. Ogni volta io mi dico: lo voglio fare comunque”.