Reggio Calabria, 28 ottobre 2024 – Tra un mese è attesa la sentenza per il femminicidio di Lorena Quaranta. Una ragazza bella come il sole, aveva 27 anni e stava per laurearsi in Medicina, la professione che amava. Il 31 marzo 2020 è stata uccisa dal fidanzato Antonio De Pace, infermiere.
“Stress dal Covid”, aveva sentenziato la Cassazione a luglio, annullando l’ergastolo comminato nella sentenza di secondo grado. Ragionamento condiviso dalla procura generale di Reggio Calabria che ha chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche e quindi 24 anni di carcere.
"Rebus sic stantibus – così scriveva la Cassazione – deve stimarsi che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere “efficacemente tentato di contrastare” lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica".
Abbiamo raggiunto al telefono Enzo Quaranta, il padre di Lorena.
Che cosa si aspetta?
Un sospiro profondo: “Se esiste davvero la legge, gli devono dare l’ergastolo. Ma oggi non so davvero che cosa aspettarmi”.
Stress da Covid, aveva scritto la Cassazione.
"Lui non era affatto stressato, lo dimostra il tipo di vita che faceva, tra le uscite con gli amici e la palestra. Per noi restano il dolore e l’amarezza di sempre”.
Sua figlia era innamorata della medicina.
"Fin da quando aveva 6 anni voleva fare la ginecologa. E lui, infermiere, si sentiva da meno, aveva un complesso di inferiorità nei suoi confronti. Lo dimostrano i messaggi che scriveva a Lorena e quello che lei gli rispondeva”.
C’erano stati preavvisi, segni di violenza?
"No, lui covava tutto dentro, indossava una maschera. Ormai ogni giorno in Italia viene uccisa una donna. L’Italia è rotta, è un paese malato. Sono tutti femminicidi commessi senza alcuna ragione apparente. Anche se alla fine c’è sempre una costante, il complesso d’inferiorità”.