Mercoledì 18 Dicembre 2024
ARMANDO STELLA
QN X le Donne

L’ex pm antimafia Teresa Principato: "Ho sfidato i pregiudizi. Falcone e Borsellino? Due amici lasciati soli"

E’ stata il primo magistrato donna a combattere Cosa nostra. Da domani online i vodcast di Qn: grandi interviste a donne speciali

L'ex pm Teresa Principato intervistata da Agnese Pini, direttrice delle nostre testate

Milano, 7 marzo 2024 – C’è chi sogna di svuotare il Mediterraneo con un secchiello, chi di sciogliere i ghiacciai con un fiammifero e chi di sconfiggere la mafia applicando la legge. "È una frase che disse Paolo a Giovanni". Paolo è Borsellino, Giovanni è Falcone. "Anch’io sognavo un mondo diverso. E pensavo che solo la magistratura potesse regalarmelo". Mai pensato di rinunciare? "Sì, ma ho scelto di non tradire i miei valori di fronte alla Sicilia rassegnata alla corruzione, alla politica compromessa, agli amici caduti nella guerra ai padrini. Troppi morti, ho visto. Quando si viene uccisi in modo selvaggio, con il tritolo, ti assale lo scoramento".

Teresa Principato è la prima pm antimafia d’Italia. In un’intervista con Agnese Pini, direttrice di Qn, il Resto del Carlino, La Nazione e il Giorno (il video sarà online domenica nella sezione ’Qn x le donne’) ripercorre la sua vita privata e i 40 anni di lavoro al servizio dello Stato: gli avamposti di Caltanissetta, Palermo e Trapani, fino alla Direzione nazionale antimafia; la stagione inquinata nel Palazzo dei veleni, il clima d’odio, delegittimazione e rancore ("L’ho provato sulla mia pelle"); le inchieste del pool, l’ostilità attorno a Falcone e Borsellino, gli attentati, i poteri occulti, i depistaggi, le toghe sporche, i falsi pentiti e l’invasività di Cosa nostra ad ogni livello della società civile.

“Siciliana” è il titolo del suo ultimo libro. Cronache di una vita di donna e magistrato in prima linea. Un incipit lapidario (due parole: "Sono siciliana") che è un manifesto identitario. La prima battaglia di Principato, la Teresa bambina, è stata contro i pregiudizi. "Mi disturbava il fatto che la mia sicilianità fosse sempre associata al contesto mafioso". In famiglia, invece, c’erano le pressioni del padre. "Mi aveva inculcato l’idea che gli uomini sono molto più forti e in gamba delle donne. E allora parlavo da uomo, mi vestivo da uomo. Un inesorabile mascheramento quotidiano. Solo quando ho acquisito maggiore sicurezza ho deciso di essere di nuovo donna".

La madre era professoressa di latino e greco. "Ho cercato il suo amore per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Era algida, fredda. Mai un bacio o una parola affettuosa. Sono cresciuta bulimica d’amore e penso di aver sostituito quest’assenza con il demone del lavoro. Mio figlio non mi perdonerà mai". È in questa fase della vita che Principato scopre la forza dei sogni: impegno civile, fame di giustizia. "Sognavo di cambiare tutto e ottenere una parità vera fra gli uomini. Non ci sono naturalmente riuscita... Ma d’altra parte sognatori erano Giovanni, Paolo e tanti altri, giudici, sindacalisti, preti, giornalisti che volevano un mondo diverso e si adoperavano con coraggio".

Per essere credibili bisogna morire? "È una frase che diceva sempre Giovanni. Che era un uomo solo, assolutamente solo. La solitudine è una condizione che accomuna molte vittime di mafia, da Gaetano Costa a Carlo Alberto dalla Chiesa. Anch’io mi sono sentita sola, alla fine". Sola davanti a un destino che sembrava segnato: magistrati a tempo. "Al picchetto per le vittime di Capaci, Paolo ci disse: ’Ragazzi, chi vuole continuare, continui. Ma sappiate che finiremo lì, in quelle bare’".

Una vita. Ma non può bastare un libro a raccontarla. Fallito attentato dell’Addaura, 21 giugno 1989, cinquantotto candelotti di dinamite davanti alla villetta affittata da Falcone: "Quando gli telefonai, mi rispose: ’Questa volta è stata una cosa molto seria. Dietro ci vedo non solo la mafia, ma menti raffinatissime’. Già sapeva che dietro la sua morte, che dava già per sicura, non ci fosse solo la mafia. I Servizi sono stati dietro ogni strage". Servizi segreti che entrano anche nella caccia a Matteo Messina Denaro. "Antonio Vaccarino, sindaco di Castelvetrano, lavorava per loro sotto il nome di ’Svetonio’. Prese contatti con il boss, gli propose un affare e da lì partì un fitto carteggio. Messina Denaro si firmava ’Alessio’ e in quella trattativa chiese anche un parere a Provenzano. Le carte di quelle conversazioni non vennero ritenute utilizzabili dalla Procura di Palermo, e il lavoro si perse. Ma quello rimane il momento in cui i Servizi arrivarono più vicini a Matteo Messina Denaro".

Qual è stato il momento peggiore della sua carriera? "Quando Dell’Utri e Cuffaro sono tornati in Sicilia, acclamati dai cittadini, dopo le condanne per associazione mafiosa. Ho pensato che forse il risultato non valesse tanta fatica. Lo diceva Paolo Borsellino: "Il rapporto tra politica e mafia è maleodorante".