Martedì 16 Luglio 2024

Cinque lumache e una gonna a ruota

Il regalo di QN – Quotidiano Nazionale per tutte le donne è questo racconto inedito di Simona Baldelli

Quanta disparità c’era e c’è ancora nell’approccio di donne e uomini con il mondo del lavoro? Differenze salariali, prevaricazioni, molestie sono una tragica attualità anche nelle statistiche più recenti. È questo il tema con cui Simona Baldelli ha scelto di celebrare con Qn – Quotidiano Nazionale la giornata delle donne.

Il racconto inedito che segue (e che potete anche vedere nel video qui sopra) è parte di una trilogia che l’autrice (Premio Calvino 2012, Premio donna scrittrice 2023) ha donato ai nostri lettori e che è iniziato il giorno di san Valentino con ’Lo scrittore che cercava parole d’amore’ ed è proseguito il 26 febbraio con ’Eva e il vento’, parte della campagna ’#unite’ di oltre cento scrittrici italiane contro la violenza sulle donne. Buona lettura.

Il cielo dietro i vetri è ancora nero. D’inverno il sole è di una pigrizia insopportabile, a volte bisogna aspettare le otto perché schiarisca. È da novembre, da quando ha iniziato il periodo di prova, che entra in azienda col buio. Al termine del turno, già imbrunisce. Ma fra un mese sarà primavera, e allora. «Quante ne prenderanno?» domanda una, dopo un po’. «Ho sentito dire due, tre al massimo» risponde una ragazza magra appoggiata al muro. Un’altra con i capelli rossi e la faccia piena di lentiggini sospira. «Speriamo qualcuna di più, ho bisogno di questo lavoro».

Sono le 5.40 di mattina e la convocazione è per le 6, manco fossero dipendenti clandestine. A Giuliana viene il pensiero che l’abbiano fatto apposta, giusto per affermare che sono i padroni e possono disporre di loro come vogliono. Allora, per dispetto, ha deciso di arrivare ancora prima, per dimostrare soprattutto a sé stessa di avere ancora un margine, una libertà di scelta. Però, per la preoccupazione non ha quasi dormito. Quando la sveglia ha suonato alle 5.00, l’ha presa come una liberazione. Arrivata in sala d’attesa, ci ha trovato la maggior parte di quelle in prova come lei, circa una ventina. Si vede che anche loro avevano bisogno di affermare uno spicchio di libertà. «Pensate che bellezza se ci assumono tutte» sospira quella con le lentiggini. A qualcuna scappa una risatina secca. «Sì, e magari a tempo indeterminato».

Scende il silenzio. Giuliana stende le gambe gonfie per il poco sonno. Il movimento allarga il cappotto dal quale affiora la sottana. C’è un alone grinzoso all’altezza del ginocchio. Ha stirato la gonna prima di andare a letto, con gli occhi stanchi e poca luce. Non si era accorta che la temperatura del ferro era regolata sul cotone, mentre la sottana è un misto di viscosa e terital. A un certo punto ha sentito l’odore dolciastro della stoffa sintetica che si scioglieva a contatto con la piastra. Le era venuto da piangere ma, dopo aver controllato, non ha trovato segni di bruciature. E invece. Richiude il cappotto e sospira. Se la assumono, con il primo stipendio si compra un vestito nuovo. Rimanda l’acquisto da tanto tempo.

«Io ho paura» sussurra a un certo punto una donna seduta accanto a lei. È la più vecchia del gruppo, e ha le unghie tutte consumate a furia di morderle. Giuliana carezza il punto del cappotto sotto il quale c’è la stoffa raggrinzita. «Anch’io» dice. Solleva gli occhi all’orologio a muro: le 5.50. Fra pochi minuti sapranno chi verrà presa e chi no. «Io a questo lavoro non rinuncio» ricomincia la donna, «cascasse il mondo». Ha lo sguardo fisso sul muro. «Non voglio perdere il diritto di dire: questo pane in tavola l’ho messo io. Sei sposata?» le domanda. Giuliana scuote la testa. «Allora non hai mai dovuto dipendere da un uomo, a parte tuo padre». Non si rivolge direttamente a lei, piuttosto sembra parlare a sé stessa. «A me quello non pesava, o non ci facevo caso, insomma, è una cosa normale, no?» Strofina una contro l’altra le mani screpolate. «Ma dover chiedere a mio marito anche i soldi per un paio di calze, non lo sopporto più».

Giuliana ripensa a un ragazzo con cui è uscita per qualche mese, tempo fa. Lei non lavorava e pagava sempre lui. Ti va un gelato, le chiedeva, vuoi andare a quel concerto? No, rispondeva lei. Se la portava al ristorante, sceglieva dal menù quello che costava meno, anche se non le piaceva. Ti accontenti di poco, le diceva il ragazzo. Il giorno in cui ha comprato la sottana, ne avrebbe preferita una di stoffa migliore e di buon taglio. Poi si è accontentata del misto terital. Alle 6 in punto il capo del personale si affaccia dalla porta. «Vi chiameremo in ordine alfabetico».

La prima ad andare è la ragazza magra. Giuliana è la quinta, ma appena entra le va incontro un uomo sui cinquant’anni che ha incrociato qualche volta in ascensore. «Con lei ci parlo io» dice al capo del personale. La prende sottobraccio e la porta nel corridoio. «Come ci torni a casa?» le domanda. «Con l’autobus». «Se aspetti un po’, ti accompagno io». «Ma no, non si disturbi». L’uomo si avvicina un po’ di più. Puzza di tabacco e ha i pori della pelle dilatati, la faccia lucida, come ricoperta da una sostanza viscosa. Le poggia una mano sulla spalla. Lei si ritrae contro la porta dell’ascensore. «Non ti mangio mica, voglio solo essere gentile». «Sono stata presa?» ha il coraggio di domandare. «Sì, sì, ti prendo» ride lui.

Giuliana guarda oltre le spalle dell’uomo nella speranza che qualcuno si affacci nel corridoio. Non c’è nemmeno una finestra, né la possibilità di scappare con lo sguardo al di fuori dell’edificio. La puzza di tabacco si fa più insistente e l’uomo sposta la mano sullo sterno di lei, a metà strada fra la gola e il primo bottone del cappotto. Giuliana non ha più saliva. «Io adesso devo andare» dice. Le dita si spostano lentamente in giù, cinque lumache bavose. Il cuore le batte nelle tempie, ma non ha sensibilità nella pelle, come se l’uomo la stia toccando in un brutto ricordo. «Allora, mi aspetti che ti accompagno?» Poi le avvicina la bocca all’orecchio e sussurra una frase che lei non capisce. D’istinto però solleva il braccio e gli dà una gomitata nelle costole. Lui fa una smorfia. «Piccola cagnetta» sibila, «te lo scordi il lavoro».

Sull’autobus, al ritorno, lo sguardo scivola stanco sui palazzoni della periferia. Pensa al lavoro che non avrà, e spera che almeno il suo posto lo diano alla donna con le unghie mangiate. Al semaforo, due biciclette affiancano il bus. Su una c’è un ragazzo di appena trent’anni, sull’altra una ragazza ancora più giovane. Lei ha i capelli corti e una bella gonna a ruota, che si solleva per il vento. Il ragazzo si sporge verso di lei e le dice qualcosa. La ragazza ride e abbassa la sottana con la mano. Ripartono prima che venga il verde, la strada è stranamente deserta. A Giuliana viene improvvisamente voglia di un giro in bicicletta, non ci sale da quando era bambina. Perché ha smesso di andarci? Chissà quanto costa comprarne una decente, sicuramente una cifra spropositata. Forse potrebbe accontentarsi di una di seconda mano. L’autobus riparte e supera i due ragazzi.

È proprio bella quella sottana a ruota. Se avesse avuto il lavoro se ne sarebbe comprata una uguale, pensa, toccando la stoffa increspata sul ginocchio. Ma poi pensa anche alla mano sudaticcia dentro il cappotto e le si stringe lo stomaco. No, non lo valeva quello schifo lo stipendio fisso. Le toccherà accontentarsi della gonna di terital ancora per un pezzo. È abituata ad accontentarsi, ormai.

Simona Baldelli