Roma, 1 gennaio 2024 - Assassini (o presunti tali) smascherati per caso, per un piccolo dettaglio che era stato trascurato, anche tanti anni dopo. Malori che diventano delitti. Pane quotidiano per Antonella Delfino Pesce, la criminologa che ha fatto riaprire l’omicidio Nada Cella.
“Una volta un’addetta ai servizi funebri mi fece notare che un dettaglio su un cadavere era del tutto anomalo. Così ho contattato il medico legale, che ha ritenuto utilissimo quello spunto. Diciamo però che questi colpi di scena sono più frequenti negli Stati Uniti, lì c’è una grande tradizione sui cold case”.
In Italia, invece?
“Ci si concentra soprattutto nel costruire indagini basate sul Dna. Anch’io la pensavo così, fino a 3 anni fa. Ma poi ho cambiato radicalmente idea”.
Perché?
“Il Dna è fantastico, utilissimo. Ma costituisce solo una conferma di presenza”.
Quindi?
“Non è che non devono essere svolte tutte le altre indagini. E questo l’ho imparato proprio stando a contatto con la polizia giudiziaria”.
Spieghi.
“La polizia giudiziaria svolge indagini tradizionali, a tutto tondo, soprattutto se non c’è il Dna. Arrivo dalla genetica forense, quando ho iniziato per me quel test era tutto. Ma con il tempo mi sono completamente ricreduta. Quando c’è, è un aiuto eccelso. Ma può essere il cappello di un’indagine, non il fulcro”.
Tra i casi più noti rimasti in sospeso quello di Liliana Resinovich: dopo 2 anni, resta il dubbio se sia stata uccisa o si sia suicidata.
“Quando prendo un fascicolo, per me una buona consulenza medico-legale è oro. Un bravo medico legale fa un terzo dell’indagine. Aiuta a ricostruire la scena del crimine”.
Nel giallo di Trieste che cosa ci può dire una nuova autopsia, dopo due anni?
“Molto. Può uscire di tutto, possiamo trovare molti più elementi. Dipende anche dallo stato di conservazione, chiaro”.