Monza 2014. Dieci anni fa. La fine di una epoca per la Ferrari. Nel bene e nel male. Un cambio di fase. Un passaggio forse obbligato. Di sicuro, una svolta. Dopo la quale, nulla sarebbe stato più come prima, per il Cavallino.
Monza 2014. L’ultimo gran premio di formula uno vissuto nei panni di presidente delle Rosse da Luca Cordero di Montezemolo. Una delusione fragorosa: nonostante la presenza al volante di due campioni del mondo come Fernando Alonso e Kimi Raikkonen, la Ferrari rimediò una colossale figuraccia.
Quello fu il pretesto cui si aggrappò Sergio Marchionne, allora amministratore delegato di Fiat Chrysler, per innescare una rivoluzione che veniva da lontano.
Marchionne, su input degli azionisti, intesi come Agnelli Elkann, voleva voltare pagina. Voleva quotare la Ferrari in Borsa. Soprattutto, sognava per se stesso la poltronissima di presidente a Maranello.
Montezemolo, che quella poltronissima occupava dal 1991!, non fu lesto a capire cosa stava accadendo alle sue spalle. Ancora nel sabato di Monza, il giorno delle qualifiche del Gran Premio d’Italia, raccontò ai cronisti che avrebbe deciso lui quando e come se ne sarebbe andato.
Tre giorni dopo, il martedì, era già un ex. Marchionne aveva già preso il suo posto. E il resto è cronaca, finanziaria e anche politica e anche sportiva.
Cosa resta, dieci anni dopo, di quel golpe (perché fu un golpe, un colpo di stato architettato nelle segrete stanze)?
La Ferrari, come azienda, ne ha tratto enorme giovamento. A Piazza Affari è il titolo che capitalizza di più. Quasi 99 miliardi di euro. Più di Eni, Enel, UniCredit.
A livello sportivo, parlando di Formula 1, le cose sono però peggiorate.
Dal 2014 al 2024, la Ferrari non ha mai vinto un titolo mondiale. Mentre Montezemolo, durante la sua gestione, conquistò otto campionati costruttori e sei piloti.
Sono passati, appunto, dieci anni. La finanza ha trionfato. Lo sport ha perso.
Ne valeva la pena?
Continua a leggere tutte le notizie di sport su