Si vanno addensando nubi minacciose sull’export italiano che richiedono rapide e adeguate contromisure. La CNA – guidata dal presidente Dario Costantini – lancia l’allarme sul ripiegamento delle vendite all’estero che si concentrano sui principali mercati di riferimento. Il perdurare dei conflitti, l’orientamento protezionista di Stati Uniti e Cina, l’affanno della locomotiva tedesca causato dal settore dell’auto e la crisi politica in Francia alimentano un clima di preoccupazione sulle prospettive del Made in Italy.
Verso la Germania, gli Stati Uniti, la Francia e la Cina, che assorbono il 35 per cento delle esportazioni italiane, nei primi 8 mesi dell’anno le vendite hanno accusato una contrazione del 4,3 per cento, una flessione ben più profonda del calo dello 0,6 per cento del totale dell’intero export nazionale. Il trend è particolarmente negativo con la Germania (2,7 miliardi, -5,6 per cento) e la Cina (2,5miliardi, -24,7 per cento).
Disaggregando i flussi – rileva la CNA – l’automotive è il settore produttivo più in difficoltà. Al forte calo dell’export di auto si accompagna la flessione della meccanica e della metallurgia. La debolezza della domanda estera penalizza anche altre produzioni tipiche del made in Italy come i mobili, che accusano una flessione a due cifre in Cina e in Germania, e il comparto moda.
La vitalità dell’export italiano nella fase post pandemia sta scontando adesso un rapido e profondo peggioramento con il rischio di produrre effetti negativi permanenti in quanto una parte rilevante delle vendite all’estero è realizzata dalla platea di piccole imprese che tra gennaio e ottobre hanno fatturato quasi 60 miliardi di euro in Germania, Stati Uniti, Francia e Cina. In totale sono circa 120mila le imprese che esportano, il 55,8% conta meno di 9 addetti ed estendendo il campo a quelle fino a 50 dipendenti la percentuale arriva all’89,2 per cento.
"L’economia italiana – informano da CNA – non può permettersi un arretramento di questa moltitudine di ’Ambasciatori del Made in Italy’ che garantisce quasi il 50 per cento del valore totale dell’export tricolore. Dunque è il momento di mettere in campo una serie di azioni per presidiare un aggregato fondamentale per la formazione del Pil, tanto più per compensare la debolezza della domanda interna".
L’associazione di categoria degli artigiani indica quindi due direzioni per uscire dell’impasse: da un lato garantire continuità e nuove opportunità di crescita alle imprese che già esportano ma hanno bisogno di diversificare i mercati e innovare la loro offerta. Dall’altro favorire l’ampliamento delle imprese esportatrici. Uno studio della Confederazione ha calcolato che ci sono circa 90mila micro e piccole aziende che avrebbero le caratteristiche di prodotto per svolgere un ruolo da protagonista sui mercati esteri. Non aiuti, ma un sostegno pubblico per l’accesso facilitato alle informazioni sui mercati, rischi commerciali, sistema di garanzie, attività fieristica.
"Il successo dell’export italiano – fanno saere da CNA – riflette un modello unico al mondo, fondato sull’ampiezza della base partecipativa, grazie ai tanti imprenditori coraggiosi che esprimono la vera essenza del Made in Italy, creatività e qualità. Allargare la base esportatrice significa rafforzare un modello che ha fatto dell’Italia il quarto paese esportatore a livello globale".
"Al tempo stesso – concludono da CNA – per settori in difficoltà come l’automotive e la moda occorrono strategie e politiche industriali in grado di coinvolgere il sistema della piccola impresa. Nella moda sono a rischio chiusura oltre 10mila aziende mentre sull’auto va scongiurato l’errore di identificarla con un solo grande gruppo, dimenticando le oltre 110mila imprese e 542mila addetti che sono il principale motore della filiera. La centralità di micro e piccole imprese non è uno slogan appannato ma la semplice verità dei numeri".