I primi sentori che per i proprietari di case non sarebbero state tutte “rose e fiori” li abbiamo avuti nel dicembre del 2021, quando sono circolate le prime notizie in ordine alla Direttiva UE sull’efficienza energetica degli immobili, conosciuta anche come “Fit for 55”. In linea generale la Direttiva in oggetto non sarebbe – di per sé – una brutta cosa. Tutt’altro. Alla base c’è l’idea di dettare, a livello comunitario, delle regole non solo uniformi ma anche “stringenti”, così da portare i singoli Stati a rendere più efficiente, dal punto di vista energetico, il patrimonio edilizio, attraverso la riduzione delle emissioni nocive provocate dagli immobili che, piaccia o meno, sono fra i soggetti a più alto fattore di inquinamento. Da un punto di vista teorico (qualcuno dice politico) gli immobili dovranno (ma forse sarebbe meglio dire dovrebbero) consumare poca energia (alzi la mano chi non è d’accordo), essere il più possibile alimentati da fonti rinnovabili (la recente crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina, però, ha reso molto più “eterea” questa affermazione) con forte riduzione delle emissioni causate dai combustibili fossili (chiedere alla Germania, please). Ma nei fatti cosa prevede la Direttiva? Salvo rinvii sempre possibili, il punto di partenza dovrebbe essere il 24 gennaio 2023 (con ipotesi – forse credibile forse azzardata – di chiusura dell’iter entro fine marzo) quando il Parlamento europeo sarà chiamato a pronunciarsi su una Direttiva che, di fatto, dal dicembre 2021 a oggi ha già subito alcune rilevanti modifiche. Dalle dichiarazioni di molti leader europei, su tutti Frans Timmermans, sembrerebbe ormai certo (ma noi per prudenza restiamo ancorati a una certa cautela) che, almeno al momento, non dovrebbero essere previste sanzioni o limitazioni alla vendita o alla locazione degli immobili ancora non adeguati alla Direttiva. Sarà vero? Difficile previsione, anche se dopo spiegheremo perché i Paesi del Nord sono così indifferenti alle paure nostrane. Se non vogliamo stare troppo sul teorico e, quindi, rimanendo con i proverbiali piedi per terra, di altro non si parla che di quella che, in Italia, conosciamo tutti come APE, un documento ormai entrato nella quotidianità dei proprietari di casa. Ma in fin dei conti qual è la road-map prevista (qualcuno dice imposta) dalla UE? Come ho premesso, non possiamo escludere slittamenti, in ogni caso ecco le tappe: • Fine 2030: tutti gli immobili residenziali (in realtà ci sono alcune eccezioni) in classe F e G dovranno essere resi più efficienti e conformi alla Direttiva passando in classe E (più o meno lo sono gli immobili costruiti in Italia tra gli anni ’80 e ’90); • Fine 2033: stessa sorte per quelli in classe E che dovranno passare in classe D (inclusi quelli precedenti); • Fine 2040/2050: tutti gli immobili dovranno essere ad emissione zero. Proposta impegnativa sotto molti profili e, d’altronde, basti pensare che passare dalla classe energetica E a quella D vuol dire abbattere i consumi di almeno il 25%. Come? Con interventi non del tutto “indolore” dal punto di vista del costo: cappotto termico, sostituzione degli infissi, installazione di caldaie a condensazione. Se ci si aggiungono i folli rialzi dei prezzi causati dal Superbonus 110% si capiscono le paure degli italiani (non del tutto esenti da colpa, però, unitamente al Governo Conte, su rincari e conseguenze varie). Facile prevedere che non saranno interventi alla portata di tutti. Anche perché in Italia si stima che, in classe F e G, siano almeno il 60% degli immobili (e forse qualcosa di più). E allora, se l’obiettivo UE (condivisibile e auspicabile, ma non semplice da raggiungere) è quello di arrivare alla c.d. “neutralità climatica” entro il 2050, occorre che il nostro Paese smetta di fare demagogia “da social” e inizi seriamente ad affrontare il problema. Questo perché se l’abbattimento dell’inquinamento e dei consumi lo vogliamo tutti, la transizione ecologica comunitaria non sarà priva di costi e conseguenze per le famiglie italiane dato che, il Belpaese, ha, purtroppo, non solo il più ampio parco immobili privati, ma anche uno dei più vecchi e poco efficienti. E non è “gridando” contro la UE che troveremo una soluzione. Ma è partecipando al dibattito in sede comunitaria in modo serio e costruttivo, duro se serve, ma se la media dei nostri parlamentari europei non va alle riunioni di Commissione o del Parlamento, non possiamo poi pretendere che siano gli altri a tenderci la mano o a tutelare i nostri interessi. E smettiamola di gridare al complotto. La verità è che in Europa ci sono, per semplificare, due diversi “mondi” immobiliari: quello latino, dove prevale la proprietà della casa (non solo costruita magari con fatica, ma anche ereditata, così come esiste un “piccolo patrimonio” immobiliare creato in una vita per avere un reddito in più) e quello del Nord, dove la maggior parte delle persone vive in affitto. Basterebbe questo a far comprendere come vi siano due visioni, due approcci al problema di difficile conciliazione. Non è che lo fanno per fare un dispetto a noi o magari non tutti, è che nell’ottica di inquinare sempre meno, le scelte dei Paesi ad alto tasso di affitto e basso tasso di proprietà possono anche essere difficili da conciliare con quelle dei Paesi che hanno una situazione esattamente opposta. Se poi ci mettiamo la crisi post Covid-19, quella dovuta alla guerra in Ucraina e ai rincari energetici, diventa facile capire come in un periodo in cui il nostro Paese galoppa verso la recessione e le famiglie non sanno come arrivare ormai a metà mese, non più alla fine, ecco che chiedere anche di indebitarsi per i prossimi 20 o 30 anni (chi ancora può farlo) per adeguarsi alla Direttiva UE può essere politicamente un suicidio per chiunque. Ma non è finita così, perché una volta adottata la Direttiva UE, ogni singolo Paese dovrà recepirla e adeguare tutti gli standard normativi e della tecnica (incluse norme tecniche, regolamenti, specifiche dei materiali, …), e allora si capisce che o il tutto sfocerà nell’ennesima riforma incompiuta, o se davvero il 50/60% del patrimonio edilizio privato non potrà più (prima o poi) essere locato o venduto, allora davvero la Politica dovrà dimostrare di avere la “P” maiuscola, e non parlo solo di quella italiana, perché altrimenti temo che altro che la “EUrexit” vedremo. Saranno i politici italiani all’altezza? E l’Europa – la cui immagine appare sempre più sporcata dalla politica prezzolata a cui stiamo assistendo e che non si potrà liquidare, come se nulla fosse – sarà in grado di gestire una possibile crisi che, piaccia o meno, potrebbe diventare anche d’ordine pubblico? Se proprio ci guardiamo in torno, non c’è di che essere ottimisti. Mala tempora currunt! Avv. Luca Capodiferro Presidente Centro Studi Nazionale di Confabitare
Venerdì 13 Dicembre 2024
ArchivioCasa Green: la direttiva UE sull’efficienza energetica