Sui fondali italiani si depositano più del 70% dei rifiuti marini e sulle spiagge la media è di 400 rifiuti ogni 100 metri. E questo, è solo uno dei pericoli che minacciano il mar Mediterraneo. "É un mare pressoché chiuso, attorno al quale gravitano circa 500 mlioni di persone e numerose attività antropiche – spiega Giordano Giorgi, responsabile del Centro Nazionale per la caratterizzazione ambientale e la protezione della fascia costiera, la climatologia marina e l’oceanografia operativa dell’ISPRA e responsabile del progetto Pnrr MER (Marine Ecosystem Restoration) – di conseguenza, l’apporto di inquinanti provenienti dalla terra è uno degli elementi che preoccupa, anche se, rispetto agli anni ’70-’80, la situazione dell’Adriatico, grazie ai sistemi di depurazione, è migliorata. Tra gli elementi emergenti, invece, spicca la presenza di plastica e di microplastiche che creano accumuli offshore, per ora ancora lontani dal replicare le isole di plastica del Pacifico. A questo, si aggiungono le microplastiche, che derivano da più fonti, come i sistemi di lavaggio domestici e il deterioramento della plastica presente sul fondo del mare, che troviamo anche nel pesce che arriva sulle nostre tavole".
Quanto impatta il cambiamento climatico?
"Incide su due fronti. Da una parte c’è un aumento del livello del mare dovuto allo scioglimento delle parti glaciali, che è un fenomeno globale. Dall’altra il fatto che il mare si sta scaldando sempre di più, e questa è un’anomalia. Quello che preoccupa però, è che il mare sta immagazzinando molta energia termica che provoca un cambiamento delle correnti e un aumento degli eventi estremi, come mareggiate e medicanes, gli uragani mediterranei".
E qui arriviamo al progetto MER…
"È un progetto senza precedenti in Italia, per dimensioni di budget e raggio d’azione, che mira a ripristinare gli ecosistemi marini su una scala spaziale e temporale mai sperimentata prima: sette siti di ripopolamento delle ostriche nell’Adriatico, dodici siti per la posidonia, il coralligeno e la cystoseira negli altri mari, recupero delle reti fantasma abbandonate dai pescatori, più di 1500 punti di ormeggio per evitare l’impatto delle imbarcazioni da diporto nelle aree marine protette e nei siti natura 2000".
E poi?
"Inoltre, creeremo una rete di radar costieri e boe d’altura e costiere e avremo una nuova unità navale da ricerca, che ci permetteranno di monitorare il nostro mare come mai prima, soprattutto i suoi habitat profondi. Faremo una mappatura integrale dei 72 monti sottomarini che si trovano tra mar Tirreno, canale di Sicilia e mar Jonio, e una mappatura integrale degli habitat costieri d’Italia. Tutto questo ci darà un patrimonio di conoscenze e informazioni in tempi brevi, entro il 30 giugno del 2026, termine del progetto, che ci permetterà di capire qual è il livello di degrado dei nostri habitat marini e profondi e come possiamo pianificare al meglio le infrastrutture che abbiamo intenzione di realizzare nei nostri mari come impianti offshore per la produzione di energia eolica e fotovoltaici".
Cosa potremmo fare tutti noi?
"Fondamentale, non abbandonare rifiuti sulla spiaggia perchè finiranno in mare, e i rifiuti che arrivano dai fiumi sono già un quantitativo importante. Da evitare, anche ogni un’azione di disturbo verso le specie presenti e, soprattutto, non catturarle. L’Italia ha 7.500 km di costa che richiamano ogni anno più di 30 milioni di persone, di conseguenza l’impatto di questo gesto è significativo".