di Deborah Bonetti
LONDRA
Negli anni 2000 l’Inghilterra era praticamente auto-sufficiente nel settore energetico e fino al 2004 addirittura esportava energia a terzi. Una situazione di grande privilegio che garantiva prospettive rosee per l’intera economica della nazione. Le cose però sono poi cambiate drasticamente e già nel 2010 si trovava a dover importare 25% del suo fabbisogno energetico dall’estero, percentuale che ha poi avuto un’impennata negli ultimi anni.
Attualmente, il 20% del fabbisogno energetico del Regno Unito viene importato dall’Europa e il paese produce molto meno di quanto importa. Gran parte del gas proviene dalla Norvegia, mentre il petrolio arriva soprattutto dagli Stati Uniti. Le importazioni dalla Russia, già basse in precedenza, sono scese a zero dopo l’inizio del conflitto con l’Ucraina. L’arrivo del nuovo governo laburista, nel luglio 2024, ha portato forti cambiamenti nel settore energetico nazionale, promettendo una trasformazione totale al fine di ottenere un futuro ’più verde’, peraltro già ampiamento promesso dai conservatori.
Le priorità ora sono l’ottenimento degli obiettivi net-zero, ovvero la decarbonizzazione totale entro il 2030, e la messa a fuoco di una strategia energetica più ecologica e quindi sempre più basata su fonti d’energia rinnovabili. Il nuovo governo ha appena lanciato un piano nazionale energetico sotto l’egida del neoistituito Neso (National Energy System Operator) ovvero il nuovo operatore energetico nazionale. Suo compito immediato e’ lo studio pratico di un nuovo sistema infrastrutturale attraverso tutte le quattro nazioni di Inghilterra, Scozia, Irlanda del Nord e Galles. Neso è una struttura pubblica statale il cui target è quello di mettere la Gran Bretagna sul percorso di massima sicurezza energetica.
Il nuovo piano di Neso è atteso per il 2026 e sarà la road map per i prossimi 25 anni (fino al 2050). In occasione dell’appuntamento della COP29 che proseguirà fino a venerdì, il governo ha intanto radunato i partner istituzionali, il mondo del business e tutti gli altri stakeholder per cooperare insieme sulla transizione all’energia pulita, creando opportunità di lavoro e di crescita con lo scopo dichiarato di salvaguardare il pianeta per le prossime generazioni.
Sotto i tory, al potere per ben 14 anni di fila, la sicurezza energetica del paese è stata severamente messa in discussione a causa soprattutto della Brexit, con la possibilità sempre più probabile di una grave crisi energetica interna. La precedente legislatura aveva riposto grande fiducia anche nell’estrazione di combustibili fossili da depositi argillosi, ovvero il famigerato ’fracking’, nonostante l’impatto ambientale fosse tutt’altro che trascurabile.
Ma la pratica è risultata particolarmente contenziosa ed è stata di fatto abbandonata dai laburisti che però hanno ereditato la spesa non indifferente di 250 milioni di sterline che la Gran Bretagna spende mensilmente per importare elettricità dal continente, dove è molto meno cara (grazie soprattutto al nucleare).