Roma, 23 gennaio 2025 – È una moda un po' estrema, che nasce nell’ottica del riciclo e della lotta etica allo spreco alimentare, sconfinando però a volte nel furto e nel non rispetto delle più elementari norme igieniche. Sono probabilmente queste due oggettive problematiche a limitare la diffusione di una tendenza detta “dumpster diving”, che consiste nel cibarsi di spazzatura, o meglio degli avanzi di cibo che si trovano nei secchi dell’immondizia. Solitamente, almeno nel Regno Unito e negli Stati Uniti, Paesi nei quali è più praticata, tale pratica avviene nei pressi dei supermercati, dove grosse quantità di cibo vengono gettate perché scadute, o comunque non vendibili per difetti o per interruzione della catena del freddo, oppure ancora perché con confezioni danneggiate o non conformi agli standard obbligatori per la vendita.
In Germania ogni anno si sprecano 11 tonnellate di cibo
Anche se un prodotto è in un cestino pubblico o in quello di un supermercato, il fatto che sia stato gettato non lo rende comunque fruibile da nessuno. Almeno questa è la legge, che infatti configura nel reato di furto l’appropriazione di beni anche di scarso valore o, addirittura, i rifiuti, e che ha avuto recenti sentenze della Cassazione a confermarlo.
Dunque, se qualcuno fosse interessato a tale pratica, è bene che sappia che, almeno fino a quando la legge non cambierà, e ci sono pressioni a riguardo, le cose stanno così. In particolare, la Germania sta muovendosi in tal senso, considerando che ogni anno ben 11 milioni di tonnellate di cibo vengono gettate nei rifiuti. Il ministro dell’Agricoltura negli scorsi mesi ha proposto di depenalizzare il reato, anche per ridurre la portata di un fenomeno che riguarda comunque tutti i Paesi. La Fao in un report ha confermato un dato allarmante, e cioè che circa un terzo della produzione mondiale di cibo non finisce sulle tavole ma nella spazzatura, o di casa o dei supermercati. In Italia dal 2003 vige una legge che disciplina la distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale.
L’origine del fenomeno e la sua diffusione
Nel 2000, la documentarista Agnes Varda, nel suo lavoro “La vita è un raccolto”, parlò già di questo fenomeno, dando il nome di “freegan” a quanti lo praticavano. Considerando gli enormi sprechi alimentari e anche per ridurre le emissioni, sono sempre di più i cittadini che decidono consapevolmente di procurarsi così il cibo. Del resto, gli 87 milioni di tonnellate di cibo sprecati ogni anno in Europa, potrebbero sfamare decine di milioni di persone, senza nemmeno impattare negativamente sui costi sociali derivanti dallo smaltimento. Molto diffuso negli Stati Uniti dove non è illegale, e arrivato rapidamente nel Nord Europa e poi nel resto dei Paesi del Vecchio Continente, il dumpster diving, che letteralmente significa “tuffarsi nei cassonetti” è diventato un modo di combattere il sistema lento e incapace di evitare molti sprechi, coi clochard che da anni lo praticano inconsapevolmente, soltanto per sfamarsi, dopo che magari, a pochi metri da loro, supermercati gettano chili e chili di cibo per una confezione un po' ammaccata o per qualche macchia sulla buccia di qualche frutto.
L’influencer che in un anno per il cibo spende meno di 100 dollari
L’esempio più noto è quello di Sofie Juel Andersen, che riesce a spendere in un anno meno di 100 dollari per comprare del cibo. Sui suoi social si definisce una “combattente dello spreco alimentare”, e afferma di essersi tuffata nei cassonetti di vari Paesi europei e non solo. Alcuni suoi video hanno circa 3 milioni di visualizzazioni su TikTok, e in essi dà alcuni consigli su come fare il dumpster diving, e mostra le cose che riesce a recuperare. Nonostante alcuni video siano virali, e anche in Italia vi siano sempre più persone che condividono i propri bottini di caccia, il numero effettivo di persone che regolarmente lo praticano è ancora limitato, e vede soprattutto negli studenti i protagonisti.