Venerdì 20 Dicembre 2024

Dalla ‘bambagina’ ai giorni nostri. Otto secoli di ricerca e innovazione

La produzione della carta in Lucchesia ha origini antichissime e ha seguito l’evoluzione del territorio. Dai primi ’boom’ fino al consolidamento a inizio Novecento e la nuova espansione del dopoguerra.

La produzione di carta negli anni in uno stabilimento della Lucchesia

La produzione di carta negli anni in uno stabilimento della Lucchesia

La Lucchesia è terra di saperi, dalla musica agli antichi mestieri. Dall’arte all’economia. Terra di toscana, rigogliosa, genuina, con vene d’acqua preziosa. La carta? In questa terra sono stati pionieri.

Lo Stato Lucchese ne ebbe a dare un assaggio già nel XIII secolo con la “carta bambagina”. Di che cosa si trattava? Presto detto: attraverso la raccolta degli stracci – meglio se di cotone – si provvedeva a colpirli utilizzando dei magli in legno che produceva un processo di spezzettamento delle fibre. Ciò che ne derivava era una matassa che, messa in ammollo nell’acqua, dava corpo a un impasto, successivamente spianato. A seguire avveniva l’essiccazione: ed ecco pronto il foglio di carta pregiata.

Si parte da qui, insomma, dall’esperienza e dalle geniali intuizioni, dallo studio dei processi utili a ottenere la carta.

Si narra che Prospero Serconforti, nella prima decade del 1400, ottenne anche una sorta di esenzione dalle gabelle relative agli stracci perché era suo il volere di aprire una cartiera in Val di Lima. E sarà Vincenzo Busdraghi a spalancare le porte a una cartiera nello Stato di Lucca nell’anno 1559, dove iniziò a produrre carta per la tipografia di sua proprietà. L’acqua, come detto, era fondamentale, così Busdraghi impiantò l’opificio – un ex mulino – nel paese di Villa Basilica, laddove certo non mancava purissima acqua e legname in abbondanza.

L’esperimento convinse i governanti e, nel 1627, venne meno il monopolio della carta. Altre cartiere nacquero ad Anchiano e Villa Basilica, ben presto, ne vide nascere altre, e altre ancora furono impiantate a Vorno i Capannori e a Piegaio.

Un primo inciampo ci fu quando iniziarono ad aumentare i costi degli stracci, la vera materia prima. Arriviamo alla prima decade del 1800 quando l’intuizione del farmacista Stefano Franchi, portò alla scoperta della carta-paglia; si trattava di una mescolanza di paglia, appunto, con calce e acqua. Ciò permise di poter disporre di materie prime a basso costo: l’area tra Villa Basilica e Pescia, allora in provincia di Lucca, si popolarono ben presto di nuove fabbriche.

Basti pensare che nel 1910 si contavano ben 106 cartiere, quasi tutte a conduzione familiare, che davano lavoro a circa 1400 addetti e una produzione complessiva di 65mila quintali all’anno. Nel 1928, durante il regime fascista, la nuova suddivisione geografica della zona (con Pescia che andò a costituire la provincia di Pistoia), assestò una frenata al settore: le industrie scesero a 88 unità e gli occupati a circa 1180. Si respirò, un po’ di anni dopo, un’aria nuova: negli anni Cinquanta le aziende salirono a 134: il territorio mutava, si sentiva aria di innovazione e il decollo della autostrada Firenze-Mare, decretò il nuovo posizionamento delle industrie : ad Altopascio, per esempio. Ma anche a Porcari e Capannori. Aree che si prestavano a una viabilità che consentisse lo sviluppo industriale. Arrivarono, inoltre, incentivi da parte pubblica.

I numeri raccontano che nel 1971, le aziende salirono a 211 con oltre 4mila occupati. Il settore cartario, dovette affrontare anche la cosiddetta “crisi della carta paglia” e questo portò a sviluppare la necessaria riconversione, quindi investimenti e nuove tecnologie che non si sono mai più arrestate.