VIAREGGIO
Sospese in aria sopra il livello dell’acqua. Scivolano via sfruttando l’assenza di attrito recupedando velocità. Sembrano volare, più che cavalcare le onde. Sono le immagini che in questi giorni di America’s Cup ci arrivano da Barcellona. Uno spettacolo nello spettacolo. Dove la capacità e la bravura dei velisti si affianca all’innovazione tencologica. “Foil: la nuova frontiera della nautica tra aerodinamica, robotica e intelligenza artificiale", è il titolo della relazione che l’ingegner Giovanni Lombardi, docente di Aerodinamica degli Aeromobili e dei Veicoli all’Università di Pisa, presenterà giovedì, nel corso dell’evento Qn Distrettti dedicacato proprio alle “Onde di innovazione“.
Professor Lombardi, cosa sono e come funzionano i foil?
"Sono delle ali che danno forza,
come un’ala dell’aereo. Sollevano la barca e le permettono di uscire dall’acqua. Quindi la barca non naviga, ma vola".
Quanto sono importanti nella nautica?
"I foil stanno cambiando la nautica. Nel mondo delle regate olimpiche, ad esempio, si sta usando sempre di più".
Come avviene la commistione con la robotica?
"La dinamica della barca con i foil è estremamente complessa,
per questo servono regolazioni
continue che non possono essere fatte dall’uomo. Passa così da
un robot che fa l’attuazione di superficie di foil in maniera automatica, impostate dall’uomo".
E l’intelligenza artificiale?
"È il passaggio successivo. Far sì che il robot apprenda certe leggi e sia in grado di gestire in
maniera ottimale il controllo di
foil e superfici. Il sistema deve impara a reagire alle condizioni
e situazioni più svariati, per allontanarci dai limiti".
Quando è iniziata l’applicazione dei foil alla nautica?
"Negli anni ’90, su barche di forma normale. Ma si sono diffusi a
macchia d’olio dopo la coppa America del 2013, su barche che fanno il giro del mondo. Alcune della Viareggio-Bastia-Viareggio potrebbero averli, ma non è così diffuso".
In Italia quante sono le barche con foil?
"Un numero quantitativo in percentuale estremamente basso perché non si può prendere barca che esiste e apporci i foil. Deve nascere e deve essere particolare, leggera e con forme opportune. È la punta dell’iceberg
tecnologica e mi aspetto che nel giro di 10-15 anni quell’1 % diventi almeno il 10-15 %. Mi aspetto tanto".
Durante la sua carriera, su quali tipo di imbarcazioni ha lavorato?
"Sono stato in coppa America nel team di progetto, in particolare per l’Azzurra, e con la +39nella campagna di Valencia del 2007. Poi sono responsabile tecnico della Green Comm Racing, con cui ho seguito l’evoluzione dei foil. Poi ho una barca mia, la “Mefistofele“, che ho costruito quando ero studente".
Oltre a lavorarci, in barca, dunque, ci va anche..
"Ho fatto la mia prima regata nel 1972, quindi sono più di 50 anni che vado in barca. È una passione di famiglia, ho cominciato così. I miei colleghi di Università dicono che di lavoro faccio le regate e nel tempo libero
insegno".
Questa passione l’ha guidata anche nella scelta del lavoro?
"Un’influenza sul lavoro c’è stato. All’inizio volevo fare il progettista navale e pensavo di fare ingegneria navale. Poi ho guardato i programmi e ho capito che la cosa più lontana dalla barca a vela è una nave. Allora mi sono iscritto ad ingegneria aerospaziale perché mi sembrava la cosa più attinente alla progettazione. E avevo ragione".
Gaia Parrini