Si è conclusa la prima edizione di 360 VOLTS – Vascular Opinion Leaders Top Suggestions, un evento ECM che ha riunito a Palazzo Re Enzo a Bologna, e in collegamento streaming, circa 200 specialisti nel campo della medicina vascolare provenienti da tutta Italia per esplorare le ultime tendenze, le best practices, le sfide emergenti e le opportunità che stanno ridisegnando il panorama delle cure nell’ambito della malattia venosa cronica.
Un vero e proprio aggiornamento a 360° che ha coinvolto i presidenti delle principali società vascolari impegnate in flebolinfologia, concentrandosi su diverse tematiche: dal rischio cardiovascolare nella malattia venosa cronica e l’urgenza di alzare la consapevolezza della popolazione generale adulta sui rischi connessi alla progressione della malattia venosa cronica, all’appropriatezza degli interventi in flebolinfologia, all’importanza del biofilm batterico nelle ulcere che non guariscono, fino alla sfida clinica di un corretto inquadramento prognostico a lungo termine del paziente con malattia venosa cronica.
A comporre il board scientifico: Romeo Martini, Angiologia AULSS1 Dolomiti e presidente della Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare (SIAPAV); Roberto Di Mitri, Direttore Scientifico della Casa di Cura San Rossore (Pisa) e presidente della Società Italiana Flebologia (SIF); Maurizio Pagano, Presidente della Società Italiana Flebo Linfologia (SIFL); Angelo Santoliquido, Direttore della UOSD Angiologia e Diagnostica Vascolare non Invasiva IRCSS Policlinico Universitario Agostino Gemelli e presidente del Collegio Italiano di Flebologia (CIF); Pier Luigi Antignani, Specialista in Angiologia Medica e presidente della Società Italiana di Medicina Vascolare (SIMV); e Gaetano Lanza, Professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e presidente della Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare (SICVE). Hanno, inoltre, collaborato nella faculty Giovanni Papa, Direttore UCO di Chirurgia Plastica ASUGI Trieste, Presidente Associazione ulcere cutanee (AIUC) e Sergio Gianesini, Em. Presidente v-WIN foundation e Presidente International Union of Phlebology (UIP).
Questa prima edizione di 360 VOLTS è stata resa possibile grazie al sostegno non condizionante di Alfasigma, azienda farmaceutica italiana che si impegna a fornire a pazienti, caregiver e personale sanitario soluzioni all’avanguardia secondo i più alti standard di qualità e sicurezza, anche attraverso investimenti mirati nella formazione continua dei professionisti del settore.
La malattia venosa cronica
La malattia venosa cronica ha marcata prevalenza tra le donne ed è una patologia cronica e progressiva che comunemente esordisce nella stagione calda con un tipico corredo sintomatico (gambe gonfie, pesanti, doloranti) e spesso progredisce negli anni in forma varicosa, ma può arrivare a stadi più severi come edema, alterazioni cutanee e fino alle ulcerazioni venose, soprattutto in presenza di fattori di rischio (es. obesità), comorbidità o se intervengono complicanze flebo-trombotiche lungo la storia naturale della malattia.
L’ampia popolazione di persone affette da malattia venosa cronica a livello nazionale include inoltre gruppi che sono più a rischio di progressione agli stadi severi della malattia. Fra i fattori di rischio ingravescenti della malattia venosa cronica spiccano i pazienti con indice di peso corporeo elevato (sovrappeso e obesità), le persone anziane e le donne in menopausa, soprattutto quelle con più di due gravidanze nella storia personale.
Il ruolo dell'endotelio nella malattia venosa cronica
L’innovazione tecnologica, le terapie emergenti e le strategie per migliorare l’accesso e la qualità delle cure, sono stati al centro del programma, che ha affrontato i temi clinici più rilevanti della malattia venosa cronica.
Tra questi, è stato esplorato il ruolo dell’endotelio, tessuto che ha la funzione di rivestire l’interno delle pareti del cuore, dei vasi sanguigni e di quelli linfatici, dalla macro alla micro-circolazione. Secondo quanto riportato dalle Linee Guida CIF e dalle Linee Guida ESVS, il ruolo endoteliale nella malattia venosa cronica è diventato sempre più importante negli ultimi vent'anni per la piena comprensione dei meccanismi fisiopatologici alla base di una patologia che per definizione è cronica e progressiva. In particolare, è l'infiammazione endoteliale secondaria all'ipertensione venosa che rappresenta l'evento ricorrente e cronico che lega l'insufficienza venosa alla disfunzione endoteliale nella malattia venosa cronica, costituendo il binomio di target terapeutici sui quali si concentrano i trattamenti medici e chirurgici.
La sfida dell'inquadramento prognostico dei pazienti con malattia venosa cronica
Tra i temi su cui si è focalizzata l’attenzione, che ha importanti ricadute sulla pratica clinica, i profili di rischio nella patologia venosa, con l’inquadramento di segni e sintomi clinici secondo la scala CEAP e la valutazione dei fattori di rischio e comorbidità.
L'inquadramento prognostico a lungo termine del paziente con malattia venosa cronica rimane, infatti, ancora oggi una sfida clinica aperta, che dipende da profili di rischio individuali che solo negli ultimi anni hanno iniziato ad essere studiati per pesarne l'associazione con la progressione della patologia venosa. Una review ha riassunto i risultati dell'indagine The Edinburgh Vein Study condotta su 1566 pazienti adulti (18-64 aa.) con malattia venosa cronica monitorati per 13 anni, riportando che 1/3 dei pazienti con vene varicose sviluppa segni di patologia venosa severa con alterazioni cutanee ed un rischio di ulcerazione aumentato. In particolare, tra i fattori di rischio sono emersi età, storia familiare di vene varicose, pregressi episodi trombotici, sovrappeso e obesità, presenza di reflusso superficiale, che possono influenzare il rischio di progressione della malattia venosa cronica.
Rischio cardiovascolare nella malattia venosa cronica
Si è parlato della malattia venosa cronica dall’esordio dei sintomi sino al rischio trombotico, per focalizzare l’attenzione sull'urgenza di alzare la consapevolezza della popolazione generale adulta sui rischi connessi alla progressione della malattia venosa cronica. Lo studio di popolazione Gutenberg, condotto fra il 2012 e il 2017, su oltre 12.000 pazienti con malattia venosa cronica, evidenzia come gli stadi più severi, che vanno dall'edema alle ulcere venose croniche, complessivamente definiti IVC, siano associati ad un rischio maggiore di sviluppare a 10 anni patologie cardiovascolari. Questo, evidenza l’importanza di una presa in carico clinica del paziente sin dai primi stadi della malattia con monitoraggi regolari nel tempo, nonché di un assessment accurato del paziente con un’attenta definizione dei fattori di rischio e comorbidità.
L'importanza del biofilm batterico nelle ulcere che non guariscono
Un capitolo importante è stato quello delle lesioni cutanee e ulcere venose. Le ferite difficili e le ulcere croniche che non guariscono rappresentano la sfida clinica principale per tutti gli specialisti impegnati nella gestione dei pazienti vulnologici. In particolare, il tema del biofilm batterico rappresenta una sfida aperta fondamentale nella gestione delle ferite difficili, in quanto molti antimicrobici efficaci nella quota planctonica del letto di ferita, non penetrano la struttura biofilmica e quindi non eradicano i ceppi più resistenti. La permanenza del biofilm batterico nel letto di ferita mantiene lo stimolo infiammatorio ed impedisce il passaggio ad una risposta immunitaria rigenerativa, bloccando di fatto il processo di guarigione. D’altra parte, per dimostrare la presenza di un biofilm batterico nel letto di ferita serve un test specifico, anti-filmbiogramma, disponibile solo in poche strutture di ricerca, aspetto che ha portato gli esperti di vulnologia a livello mondiale a redigere una consensus guidelines per l’identificazione ed il trattamento del biofilm batterico che raccomanda di considerare la presenza del biofilm nei casi in cui il protocollo TIMERs di preparazione del letto di ferita che viene seguito per rimuovere gli ostacoli e favorire il processo di guarigione, abbia dato un esito negativo ripetuto, adottando in questi casi antimicrobici che hanno evidenze in letteratura nell’eradicazione del biofilm batterico.